Archive for the ‘Sotto il cielo’ Category

Traduzione, è una questione di rispetto.

Wednesday, March 26th, 2008
Il discorso è uno solo un lavoro fatto deve essere pagato. Per qualunque professione si tratti, è così.
E’ una soddisfazione personale e il giusto compenso per il tempo speso in quello che è la vita lavorativa. Una cosa è la vita lavorativa, un’altra cosa sono io fuori dal lavoro, insomma una cerca di essere un uomo, nel mio caso donna, completa, almeno è l’aspirazione.
Vabbè. Non divago. Dicevo, il lavoro, nel mio caso si tratta di traduzioni e interpretariato free lance, lo faccio con passione e con piacere. E’ un esercizio costante e mi vedo essere in tutti quei mondi in cui non sarò mai, cerco di far comunicare persone. Quello che voglio è essere pagata come è dovuto.
Molti sono gli interpreti e i traduttori, molto spesso italiani che si sottovalutano, che si svendono alla prima azienda e al primo imprenditore. Un giorno di lavoro, bhe, "c’è la ragazzetta che mi aiuta, le do un po’ di mancia…" normale. NO!! Non è normale.
 
Un po’ dipende dalla sfacciataggine delle persone che arrivano in Cina, pretendono di fare contratti milionari e durante la trattativa non fanno che offendere il partener cinese, arroganza di principio. Un po’ dipende da quello che sembra la Cina e il soldo cinese, ti mettono in mano due banconote e dicono, vabbè ma tu qui campi bene. E no, mio caro imprenditorucolo, quello che tu paghi è il MIO TEMPO, quello è che ti do. Passo una giornata con te, tra cene e baijiu, tra strette di mano e ristoranti di mezzo lusso, non perchè a me piace, ma perchè è LAVORO, e voglio essere pagata.
Una volta un tipo mi disse: "Bhe, vabbè non ti posso pagare il pattuito perchè nella traduzione ci sono dei tempi morti dove non parli, mica parli tutto il giorno…", a quel punto non mi sono trattenuta. Ho sentito la pressione sanguigna aumentare e la lingua a cominciato a girare a ruota libera e me ne sono andata scippandogli dalle mani il giusto pattuito.
 
 
Ma un po’ di autocritica la devo fare.
Noi più o meno grandi che ci arrabbattiamo qui, con questo mondo e questa lingua, difficile, spesso ci sottovalutiamo, spesso pensiamo di non essere all’altezza di questo o quello. Interprete per conferenza, paura e il solito discorso, la faccia ce la mettiamo noi. Questo è vero, ma un lavoro si può accettare o meno. Dal momento che mi metto in gioco, io valgo quello che dimostro di essere, non c’è imprenditore o soldo che tenga.
 
Questo è un po’ un appello, ad amici, vicini e non a non svendersi. A non dare la propria conoscenza, il proprio tempo a coloro che non rispettano la fatica, lo studio presente e passato. Quello è ciò che conta, il tempo. Oltretutto non abituare le persone che arrivano qui dopo nove ore di aereo e pensare che tanto con 50 euro trovano la ragazzetta che li aiuta, è no, mio caro. E’ una questione di rispetto, la ragazzetta si è fatta il suo bel culo nei suoi anni passati e in quelli presenti per assisterti.
 
Il tutto vale anche per le traduzioni. Uno mio caro amico, che stimo per la sua sincera passione e per il suo sorriso, mi disse che lo farebbe anche gratis. Bhe, ci sono numerosi libri di letteratura non tradotti, pensai, si può sbizzarrire così.
Ma non tradurre mille caratteri per 10 miseri euro.
Vi prego. E’ una questione di principio. 
 
 
 
 

I “forse non tutti sanno che” cinesi

Tuesday, March 25th, 2008

Ma lo sapevate che il Qi Pao 旗袍,il vestito da donna tradizionale cinese non è cinese ma bensì introdotto dalla dinastia Qing, ossia dal popolo mancese?

I cinesi donne e uomini portavano una sorta di tunica detta Chang 裳, i pantaloni erano utilizzati dai guerrieri mongoli, soldati e cavalieri, i quali giustamente necessitano di indumenti adatti.

La famosa Kao Ya 烤鸭 piatto doc del turista a Pechino, quello tipico pechinese non è pechinese, ma bensì proviene dallo Shangdong 上冻?

Queste tre piccole pillole di conoscenza a modo di settimana enigmistica mi sono state raccontate a lezione. Come faccio da un po’ di tempo della mia vita, seguo corsi di cinese, varie università vari professori. Ieri spunta in classe questo piccoletto senza un dente davanti, un vero personaggio, maglione blu e una passione per la sua lingua. Il cinese. Dottorato alla Beijing Shifan Daxue 北京师范大学 in Cinese Antico, insegna, per guadagnare un po’ di soldi, a noi stranieri una materia che è una strana mescla tra cultura e storia della lingua cinese.

Penso sia sempre più difficile dividere tra cultura cinese e lingua, c’è un mondo dietro quei caratteri che se aperto con passione, piano piano sfogliato con velocità e a volte con umorismo, può solamente stupire.  La lezione in teoria potrebbe essere noiosissima, ma il tipetto, piano piano, con calma riesce a svelare quel mistero stratificato, fra semplificazioni e piccoli errori, tra il cinese antico e quello moderno, tra Taiwan e Da Lu, (la Cina "propriamente" detta). 

Io oggi felice come non mai di aver trovato, un vanitoso e un po’ nazionalista, giovane studente di cinese antico. Lo invidio un po’ il filologo, tra dizionari polverosi e mondi passati, un po’ autistico nei modi, ma pieno di passione. Magari tra due vita, la prossima ballerina di Tango, in Argentina.

Raccomandazione

Tuesday, March 25th, 2008

Non posso non sponsorizzare questo altro blog:

impresentabile.net 

 

 

Propaganda e connesso stress

Friday, March 21st, 2008
La questione della propaganda-censura mi sta
scocciando parecchio. C’è poco da fare, se cerchi on line in cinese
fatti, commenti e opinioni trovi il link ma il contenuto e’ assente, tagliato.
Pochi sono i forum a cui non è stata amputata la lingua ma sono quelli
del tutto inutili o dalle posizioni nazionaliste. Nei menadri della cctv, invece, i montatori,
registi e produttori, sono alle prese con la ricostruzione degli
eventi, che lascia a bocca aperta per la melodrammatica voce narrante,
ma questo e’ il minimo. Questo è il link, del gran premio di regia.
 
 
Ciò che mi irrita maggiormente non è tanto la
ricostruzione dei fatti, cosa che avviene in tutti i paesi, con tutti i
governi, (genova 2001, un esempio), ma la negazione del problema in sè.
Questo è ciò che più mi spaventa. Semplice, il Tibet è cinese e
i tibetani farebbero meglio a farsene una ragione. Il fatto che nel
tumulto di questi giorni vale davvero la pena ripromuovere questo
atteggiamento negazionista visto già in precedenza? 
 
Le voci indipendentiste si fanno sentire nel
Gansu, Qinghai e nella parte del Sichuan che confina con il Tibet e
conseguentemente è negato l’accesso ai giornalisti. A Pechino
l’Università delle Minoranze Etniche ha chiuso le porte ad ogni
straniero, chiunque volesse sbirciare o solo prendere in presto un libro nella
biblioteca viene gentilmente spinto altrove. Questo fa irritare chi viziato nella europa del 1980 è
cresciuto sapendo per certo che la libertà di movimento di un individuo è cosa scontata (come sono ingenua)
 
Ma una cosa sto notando mentre apro il Nanfan
Zhoumo, pagina della cultura, lì non si smette di parlare di religione,
di Tibet. Questa olta il protagonista del report e’ Lù Nan
che ha ritratto religiosi in preghiera e contadini tibetani per più di
8 anni e i suoi commenti sulla popolazione contadina, sul lato negativo
del progresso e della modernizzazione venuta dall’alto. Se ci fossero
più giornali che con delicatezza si azzardassero ad affrontare
l’argomento sarebbe tutto più stimolante.
 
Volevo segnalare un sito internet: polonews.info
il quale riporta testi tradotti diretamente dal
cinese, da giovani o più o meno giovani studiosi di Cina, in questo
periodo molti sono gli articoli sul Tibet. Perchè fidarsi bene (dei
commenti altrui), ma non fidarsi è meglio. Chi ha l’opportunità di
leggere in Cinese, lo faccia, non si impigrisca con traduzioni inglesi
o pareri altrui per poi poter parlare di Tibet.
 
Ho parecchie cose da dire e sono tutte un po’
confuse, vorrei nei prossimi giorni fare un piccolo riassunto sui vari
pareri presi dal web, adesso invece devo andare.
Sembra che il tempo, almeno per me, si sia fermato
con tutta questa storia tibetana. Invece devo: cercare la scatola per
il giradischi, c’è un mercato di cose usate, ho comprato un caldo e
analogico  record player. Poi se il raffreddore mi lascia in pace,
concerto del venerdì. Hardcore che fa bene alla salute, vorrei oltretutto abbracciare qualcuno che fa 29 anni, su cui la questione Tibet sta
lasciando segni di leggero stress. eheheheh.
 
A domani. 
 
 

Tibet: interrogativi di questi giorni

Tuesday, March 18th, 2008

Non è facile essere indipendenti. Liberi di avere un’informazione veritiera senza che il dubbio affiori alla gola. Non tanto per la accuratissima censura cinese (alcuni programmini, aiutano a districarsi da The Great Firewall) ma piuttosto per la mancanza di informazioni.

C’è un solo giornalista straniero a Lasha, che ha avuto la fortuna di essere lì prima dell’inizio dei tumulti. Il signor è dell’Economist e solo lui, per la stampa straniera, può scrivere quello che vede, scritto qui.
Danwei da un ampio panorama con articoli più che interessanti riguardanti la situazione attuale in Tibet.

Il tema è ricorrente, la questione tibetana, che da parecchi secoli ormai ritorna di nuovo e di nuovo. Il punto è che per la maggioranza Han, il problema è inesistente. Il Tibet è cinese. Punto. Non ci sono per ora passi indietro, religione e socialismo alla cinese, ancora non si possono confrontare. Ho letto proprio ieri sul Nanfang Zhoumo 南方周末 un articolo interessante sul rapporto religione e socialismo. In un’intervista del 13 marzo, l direttore dell’Ufficio degli Affari Generali per la materie religiose, il signor Ye Xiaowen riprende l’interrogativo posto da Deng Xiaoping: come coinciliare la libertà religiosa e contemporaneamente prevenire le violazioni perpetrate dal fanatismo religioso che viola gli interessi del popolo e del socialismo?

Il giornale più aperto della Repubblica Popolare cinese affronta la questione Tibetana parlando di religione e di principi, che nel corso degli anni da Deng fino ad adesso sono stati analizzati a fondo e da parte del partito. E’ sbagliato, dice il signor Ye la valutazione di voler accantonare le religioni, sarebbe un modo per allontanarsi dalla base fondamentale del rapporto tra marxismo e religione. L’articolo continua con una lunga digressione sul rapporto tra Vaticano e Cina per poi, finalmente, arrivare al Tibet.

Qui, il discorso è sentito e risentito. Per i cinesi, almeno quelli schierati è facile: il Tibet è cinese, il Dalai Lama è appoggiato dagli Stati Uniti e dagli altri paesi occidentali per promuovere la sua politica seccesionista. Quello a cui tengono i cinesi e ci tengono molto più di tanti altri popoli al mondo è l’unità del paese.

Un unità cercata da secoli, imperi e regni si sono alternati durante 5.000 anni di storia per unificare il Paese. La lingua parlata è forse il collante più utile di tutto. Ma qualche cosa è sempre scappata e scappa anche adesso. Il problema è difficile da risolvere, abbassare la guardia o a mano che tiene tutto il Regno di Mezzo ancora assieme e rischiare il conseguente sfaldamento? No. Il consenso popolare del governo leggittima quest’ultimo a prese di posizione forti, ma fino a che punto? Che ruolo avrà la comunità internazionale? Che da una parte si schiera buona buona per il rispetto dei diritti umani, che suona così bene, ma dall’altra parte ha promosso ed ora è soggetta alla delocalizzazione delle imprese e campa anche grazie ai musetti gialli che lavorano nelle fabbrichette del signor europeo-americano? I dissidenti tibetani (ma inserisco anche tutte le altre minoranze, Xinjiang in primis e tutti quelli che si sentono di poter perdere tutto pur di cambiare qualche cosa) organizzeranno altri momenti di ribellione? Se sì, le autorità saranno in grado di gestire tutto? Come reagirà Taiwan alle votazioni dei prossimi giorni proprio sul tema dell’indipendenza? 

Il momento è delicato. Spero che la Cina abbia l’accortezza di mettere da parte il proprio orgoglio e la propria paura e di riuscire a dialogare. Spero che guardi un po’ più in là oltre le teorie marxista e accetti di vedere i tibetani per quelli che sono. Con i loro spiriti e le loro genuflessioni e non tramite la lente cinese-han fatta di supermercati e autostrade. Contemporaneamente spero che il Dalai e la sua comunità internazionale, ma soprattutto la comunità internazionale, siano ben intenzionati a risolvere la questione. Spero la comunità occidentale rispettosa del tema di politica interna e che l’ingerenza sia ridotta al minimo, non rida sguaiatamente l’America e l’Europa faccia meno la schizzinosa.

Poco e nulla servono le minacce e i boicottaggi vari. C’è bisogno di dialogo tra le singole parti. 

Una bella sfida che non mi sarei aspettata di vedere. 

 

Difficoltà della lingua cinese

Friday, March 14th, 2008

E’ un po’ di
tempo che pensavo di scrivere un post sulla lingua cinese, adesso un articolo
letto
quì me ne ha dato lo spunto.

Il ministro degli
Affari Esteri cinese afferma che la lingua cinese è una delle lingue più facile
del mondo da imparare. Bhe, una volta un tassista mi chiese se trovavo
il cinese facile o complesso. Ho risposto come il signor ministro, che in
teoria non dovrebbe essere troppo difficile se un miliardo e 300 milioni di
persone la parlano. Ho risposto di getto e con insensatezza, non stavo in conferenza stampa, soprattutto. Non credo
si possa giudicare la difficoltà di una lingua dal numero dei nativi che la
parlano.


Il cinese, invece, è una lingua difficilissima da apprendere. Queste parole
sono state scritte sulla pirma pagina del libro del mio docente universitario,
l’ho apprezzato per l’onestà. 


La difficoltà del cinese dov’è? Allora, il cinese, non può essere mai lasciato
da parte, o ti ci butti con tutto te stesso, o non ne verrai mai a capo. Parto
dal punto di vista che è una lingua che, metaforicamente, si cerca sempre di
afferrare, di inseguire, ma difficilmente si riesce davvero a padroneggiare. Intanto,
il cinese, mi spiace dirlo ma va imparato anche a memoria, mi spiace per tutti quelli che vorrebbero imparare una ligua solo parlando con le persone senza aprire un libro, senza prendere carta e penna. I caratteri vanno
scritti ripetutamente, a volte anche con un non sochè di ossessivo, vanno
ripetuti non solo i caratteri singoli ma anche le coppie di due caratteri. Per dire questo
verbo si usa con questo comlemento oggetto e non con un’altro.

La lingua
scritta è di un fasciano misterioso in principio. Mi ricordo il professore che
in classe ripeteva di imparare i radicali. I radicali sono una parte
constitutiva del carattere. Per cui, ma ben attenti, non è una regola fissa, se
troviamo in una frase un verbo che significa agguantare, prendere, tirare, ci
sarà il radicale di mano alla destra del carattere. Nella parte sinistra a
vollte c’è l’elemento fonetico, che ricorda la pronuncia. Ma anche qui ci sono
innumerevoli variazioni. Queste due parti formano i caratteri.
Gli ideogrammi ripeto, vanno scritti, scritti e riscritti. Bisogna trovare
piacere nel farlo, mettendoci un po’ di tocco estetico, perchè no, altrimenti
potrebbe diventare un lavoro noiosissimo.


La lingua parlata, quella ufficiale è il mandarino. Il mandarino puro di sente
solo in televisione, quella del telegiornale, per farmi capire. Per il resto
anche il più corretto del cinese ha la sua inflessione e poi ci sono tutti i
dialetti, ma questo è davvero un’altro mondo.
Quindi che fare con questo cinese. Intanto bisogna essere appassionati ed avere
enorme pazienza, impegnarsi a fondo, immergersi. Adesso è anche un po’ più
facile di un tempo, ora ci sono film più o meno decenti da vedere e non solo
propaganda maoista, c’è tanta musica da ascoltare e tanti testi di canzoni da
leggere, ci sono giornali, riviste, tantissime riviste, libri, ecc. ecc. Non
darsi un limite, buttarsi. Parlare con le persone è essenziale, ascoltare anche
senza capire, lasciarsi prendere. 
E una lingua difficile e incredibilmente affascinante. Ci sono momenti in cui
pensi vabbè, 7 anni di studio per nulla una lingua inafferabile appunto, altri
momenti, dopo per esempio una bella chiacchierata con una amica o con un amico
in cui sospiri e pensi che è come tutte le altre lingue, ma forse solo per la
prensenza paziente dell’amica-o.
Un altra cosa, la lingua non puo’ essere disgiunta dalla sua storia, dal suo
passato, dalla conoscenza di quello che c’è dietro a "tutti quelle linette
che sembrano casette", è un tutt’uno. Ma a questo punto ci troviamo davanti ad un libro con un contenuto stracolmo di storia, eventi, di uomini che hanno fatto la storia dall’altra parte del mondo, parlano di uomini che in principio sembrano così lontani, di dinastie e imperatori ma basta lasciarsi prendere dallo scorrere di quel tempo.

*Studiare il cinese classico, leggere i classici confuciani e taoisti e divertirsi con i proverbi. Ma questo solo per chi ha
vera passione. 

 

Beijing Buildings

Monday, March 10th, 2008

Non ha tutti piacciono, polemiche sui costi dei progetti dilagano sulla stampa internazionale, Io passandoci davanti non posso che arire la bocca, e meravigliarmi per la loro estetica del tutto fondata sul secolo a venire. 

1. Beijing Olympic
Stadium detto anche "nido di rondine" per la sua forma a canestro.
Argentato e immenso, conterrà 100.000 spettatori durante le Olimpiadi,
330 metri di lunghezza e 220 di ampiezza, 36 kilometri di acciaio lo
ricoprono.  *Herzog & de Meuron, studio svizzero ha firmato il progetto per il modico costo di 325milioni di euro*

 2.
Central Chinese Television CCTV. Il palazzo è futurista su piano
tridimensionale, ancora in costruzione. 230 metri di altezza sarà
circondato da 400.000 metri quadri di base in cui tutto il sistema
televisivo, amministrativo e non avrà luogo. Il building è inserito nel
Central Business District, quartiere della città in completa 
rivoluzione. * the Office for the Metropolitan Architecture (OMA), studio assolutamente multietnico con quartier generale in Olanda si è aggiudicato il progetto.

3.
Beijing National Grand Theater. Ha un passo da piazza Tiananmen
stupisce per la sua forma tondeggiante, un guscio di tartaruga accanto
al contorno spigoloso e austero, costruizione in titanio circondata di
acqua. * Paul Andreu architetto francese è l’artigiano.

Fumetto alla cinese. Ding Cong. 丁聪

Sunday, March 9th, 2008

Consiglio a tutti di munirsi delle vignette di Ding Cong, fumettista di Shanghai. I libretti sono maneggevoli, al costo di soli 12.00 yuan, ci si procura della satira cinese, che da un po di respiro a chi come me a volte si stanca dell’austerità delle Santana a vetri oscurati, dei grossi palazzi stile sovietico, e che essendo cresciuta con Vauro si sente un po’ più a casa.

Le vignette sono tante e spaziano soprattutto sulla Cina, percorrono eventi, fatti e cambiamenti. Da grende fine umorista coglie il punto più delicato e provocatorio, quello che detto e scritto potrebbe far davvero male, ma trasformato su carta non può che far abbozzare al lettore un sorriso maliziosetto. Descrive con sottile ironia le qualità del popolo cinese, quelle che si portano avanti da secoli. Qualità non è davvero la parola giusta, tutto quello che c’è dietro "l’uomo Cinese", famiglia, regole, partito, a moltissime altre. Invito davvero tutti a fare un ripasso storico con l’aiuto di Ding Cong. A me a fatto benissimo, ma soprattutto mi ha fatto ridere, dato che in questo periodo sta Cina, mi sta appesantendo l’animo. Viva la satira!

 

E il ministero alla fine parlò

Sunday, March 9th, 2008

Vi avrei potuto tediare ma non lo faccio per
rispetto. Vi risparmio la noiosissima traduzione parola per parola.
Brevemente accenno in sintesi le parole del portavoce del Ministero
della Cultura cinese, che dopo aver taciuto, ragionato, riflettuto e
spremendosi le meningi a sufficienza hanno comunicato con la stampa sul
fattaccio dell’attrice islandese.

Il comunicato si divide in tre parti molto chiare:

Prima:
ribadire a gran voce l’unità della Repubblica Popolare Cinese. "Nessuna
nazione ha mai ammesso l’indipendenza del Tibet…"

Seconda:
benvenuto a tutti gli artisti stranieri, purchè rispettino le leggi
della Repubblica Popolare Cinese. In parole povere, cantare è cantare,
fare politica è fare politica, due cose ben diverse.

Terza: da adesso in poi ci saranno controlli molto più seri su tutti gli artisti stranieri.

Insomma,
la cara società paternalista ha colpito ancora, ha punito la bella
islandese e i suoi successori. Sembra che in Cina, comunque il problema
Tibet non sia per la maggior parte delle persone un vero problema,
viene vissuto più dagli occidentaloidi e dai Tibetani (spero).
Purtroppo non conosco tibetani se ne conoscessi onn smetterei di fargli
domande. Dato che se il problema esiste adesso, esiste per loro. Sono
loro a subire la cosidetta occupazione, sono loro che dovrebbero
lamentarsi o urlare. Quello che mi ha fatto riflettere su tutta questa
storia, non è la provocazione della fanciulla, non è il coraggio
islandese, ma la reazione cinese. Caldo e accorato il popolo dei blog e
dei forum, ma non mi sembra che abbiano riflettutto sul testo della
canzone. Insomma non un solo approfondimento sulla situazione Tibetana,
non una sola domanda su come davvero si sentono i Tibetani, sulla
storia del Tibet o anche sull’esercito di liberazione e il suo arrivo a
Lasha nel 1950. Insomma nulla di tutto questo, non c’è memoria pare nei
discorsi fatti in rete, ci sono accuse agli occidentali ficcanaso,
analisi sulla situazione islandese e di conseguenza sulla personalità
di Bjork, ma nessuna (almeno da quanto ho letto io) riflessione sulla
situazione tibetana. 

Sono perplessa.

Interpretando

Thursday, February 28th, 2008

Dire una cosa nota. Qui in Cina, c’è chi fa tutto e chi si fa in 4 per mettere un po’ di soldi da parte, chi vorrebbe vivere di storia e letteratura e filosofia cinese, mangiar pane e libri, di persone così ne conosco parecchie. Purtroppo nel mondo della fantasia pane e dinastie vanno bene, ma in questo qui, proprio questo dove mi trovo ora no. Quindi un po’ tutti noi, cerchiamo di arrabbattare un po’ di euro facendo da interpreti. 

E qui incominciano le storie e le esperienze, chi in giacca e cravatta va a conferenze, chi porta imprenditori o piccoli proprietari di aziende a fiere più o meno grandi, chi impara vocaboli da un giorno ad un’altro per visitare una fabbrica di acciaio, io invece, in questi giorni, sono in una discarica. Precisamente alla periferia sud-est di Pechino. Tutto è partito da una telefonata, una signora del nord, con tono freddo e professionale mi chiama " Si, salve, avrei bisnogno di una interprete dal giono tot al giorno tot". Le chiedo spiegazioni sul lavoro e ecco la prima frase: "Siamo una azienda italiana che produce impianti ecologici e dobbiamo installare un’impianto in una discarica di Pechino". Bhe, dato che i giornali online italiani non fanno altro che parlare di discariche e io non ne ho mai vista una, mi ci sono buttata al volo (per modo di dire). E’ da 4 giorni che sono accanto ad un enorme buco, dal perimetro di 1500 metri, dal parere del tacnico italiano sembra fatta a dovere, gli operai cinesi lavorano bene, altri guardano che gli operai lavorino bene, altri vanno a pranzo e tornano un po’ brilli da troppi bicchierini di baijiu. Io interpreto, cerco di far comunicare un romano con un pechinese, per ora tutto bene. Solo un po’ di astio con deficiente che vista la signorina nella discarica si permette battute, mezze provocazioni sul primato della cultura cinese, facendo pesare alla signorina nella discarica la sua poca conoscenza dell’ennesimo proverbio cinese. Come se in una discarica ci fosse bisogno di parlare a proverbi. Polemica a parte. Anche domani sveglia alle 6, in metro dritta verso sud e di nuovo accanto all’enorme buco, ricoperto da teli neri. Ancora non ci sono riufiuti e meno male.

(Potete immaginare la mia espressione pensando ad una azienda italiana che istalla impianti ecologici in Cina, mentre la Campania esplode. Ma quanta gente si arricchirà alla spalle di Napoli periferia che straborda di spazzatura? Davvero troppa, sia gente che spazzatura.