Tibet: interrogativi di questi giorni

Non è facile essere indipendenti. Liberi di avere un’informazione veritiera senza che il dubbio affiori alla gola. Non tanto per la accuratissima censura cinese (alcuni programmini, aiutano a districarsi da The Great Firewall) ma piuttosto per la mancanza di informazioni.

C’è un solo giornalista straniero a Lasha, che ha avuto la fortuna di essere lì prima dell’inizio dei tumulti. Il signor è dell’Economist e solo lui, per la stampa straniera, può scrivere quello che vede, scritto qui.
Danwei da un ampio panorama con articoli più che interessanti riguardanti la situazione attuale in Tibet.

Il tema è ricorrente, la questione tibetana, che da parecchi secoli ormai ritorna di nuovo e di nuovo. Il punto è che per la maggioranza Han, il problema è inesistente. Il Tibet è cinese. Punto. Non ci sono per ora passi indietro, religione e socialismo alla cinese, ancora non si possono confrontare. Ho letto proprio ieri sul Nanfang Zhoumo 南方周末 un articolo interessante sul rapporto religione e socialismo. In un’intervista del 13 marzo, l direttore dell’Ufficio degli Affari Generali per la materie religiose, il signor Ye Xiaowen riprende l’interrogativo posto da Deng Xiaoping: come coinciliare la libertà religiosa e contemporaneamente prevenire le violazioni perpetrate dal fanatismo religioso che viola gli interessi del popolo e del socialismo?

Il giornale più aperto della Repubblica Popolare cinese affronta la questione Tibetana parlando di religione e di principi, che nel corso degli anni da Deng fino ad adesso sono stati analizzati a fondo e da parte del partito. E’ sbagliato, dice il signor Ye la valutazione di voler accantonare le religioni, sarebbe un modo per allontanarsi dalla base fondamentale del rapporto tra marxismo e religione. L’articolo continua con una lunga digressione sul rapporto tra Vaticano e Cina per poi, finalmente, arrivare al Tibet.

Qui, il discorso è sentito e risentito. Per i cinesi, almeno quelli schierati è facile: il Tibet è cinese, il Dalai Lama è appoggiato dagli Stati Uniti e dagli altri paesi occidentali per promuovere la sua politica seccesionista. Quello a cui tengono i cinesi e ci tengono molto più di tanti altri popoli al mondo è l’unità del paese.

Un unità cercata da secoli, imperi e regni si sono alternati durante 5.000 anni di storia per unificare il Paese. La lingua parlata è forse il collante più utile di tutto. Ma qualche cosa è sempre scappata e scappa anche adesso. Il problema è difficile da risolvere, abbassare la guardia o a mano che tiene tutto il Regno di Mezzo ancora assieme e rischiare il conseguente sfaldamento? No. Il consenso popolare del governo leggittima quest’ultimo a prese di posizione forti, ma fino a che punto? Che ruolo avrà la comunità internazionale? Che da una parte si schiera buona buona per il rispetto dei diritti umani, che suona così bene, ma dall’altra parte ha promosso ed ora è soggetta alla delocalizzazione delle imprese e campa anche grazie ai musetti gialli che lavorano nelle fabbrichette del signor europeo-americano? I dissidenti tibetani (ma inserisco anche tutte le altre minoranze, Xinjiang in primis e tutti quelli che si sentono di poter perdere tutto pur di cambiare qualche cosa) organizzeranno altri momenti di ribellione? Se sì, le autorità saranno in grado di gestire tutto? Come reagirà Taiwan alle votazioni dei prossimi giorni proprio sul tema dell’indipendenza? 

Il momento è delicato. Spero che la Cina abbia l’accortezza di mettere da parte il proprio orgoglio e la propria paura e di riuscire a dialogare. Spero che guardi un po’ più in là oltre le teorie marxista e accetti di vedere i tibetani per quelli che sono. Con i loro spiriti e le loro genuflessioni e non tramite la lente cinese-han fatta di supermercati e autostrade. Contemporaneamente spero che il Dalai e la sua comunità internazionale, ma soprattutto la comunità internazionale, siano ben intenzionati a risolvere la questione. Spero la comunità occidentale rispettosa del tema di politica interna e che l’ingerenza sia ridotta al minimo, non rida sguaiatamente l’America e l’Europa faccia meno la schizzinosa.

Poco e nulla servono le minacce e i boicottaggi vari. C’è bisogno di dialogo tra le singole parti. 

Una bella sfida che non mi sarei aspettata di vedere. 

 

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