Archive for the ‘Varie ed eventuali’ Category

La biblioteca di Babele, mercie Mr Borges

Monday, June 20th, 2011

L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato’, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d’una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria, identica alla prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due gabinetti minuscola. Uno permette di dormire in piedi; l’altro di soddisfare le necessità fecali. Di qui passa la scala spirale, che s’inabissa e s’innalza nel remoto. Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze. Gli uomini sogliono inferire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se realmente fosse tale, perché questa duplicazione illusoria?), io preferisco sognare che queste superfici argentate figurino e promettano l’infinito… La luce procede da frutti sferici che hanno il nome d lampade. Ve ne sono due per esagono, su una traversa. L luce che emettono è insufficiente, incessante. Come tutti gli uomini della Biblioteca, in gioventú io ho viaggiato; ho peregrinato in cerca di un libro, forse del catalogo dei cataloghi; ora che i miei occhi quasi non posso decifrare ciò che scrivo, mi preparo a morire a poche leghe dall’esagono in cui nacqui. Morto, non mancheranno pietose che mi gettino fuori della ringhiera; mia sepoltura sarà l’aria insondabile; il mio corpo affonderà lungamente e si corromperà e dissolverà nel vento generato dalla caduta, che è infinita. Io affermo che la Biblioteca è interminabile. Gli idealisti argomentano che le sale esagonali sono una forma necessaria dello spazio assoluto o’ per lo meno della nostra intuizione dello spazio. Ragionano che è inconcepibile una sala triangolare o pentagonale. (1 mistici tendono di avere, nell’estasi, la rivelazione d’una camera circolare con un gran libro circolare dalla costola continua che fa il giro completo delle pareti; ma la loro testimonianza è sospetta; le loro parole, oscure. Questo libro ciclico è Dio). Mi basti, per ora, ripetere la sentenza classica: ” La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile”. A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascuno scaffale contiene trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna riga, quaranta lettere di colore nero. Vi sono anche delle lettere sulla costola di ciascun libro; non, però, che indichino o prefigurino ciò che diranno le pagine. So che questa incoerenza, un tempo, parve misteriosa. Prima d’accennare soluzione (la cui scoperta, a prescindere dalle sue tragiche proiezioni, è forse il fatto capitale della storia) voglio rammentare alcuni assiomi. Primo: La Biblioteca esiste ab aeterno. Di questa verità, il cui corollario immediato è l’eternità futura del mondo, nessuna mente ragionevole puo’ dubitare. L’uomo, questo imperfetto bibliotecario, può essere opera del caso o di demiurghi malevoli; l’universo, con la sua elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di infaticabili scale per il viaggiatore e di latrine per il bibliotecario seduto, non può essere che l’opera di un dio. Per avvertire la distanza che c’è tra il divino e l’umano, basta paragonare questi rozzi, tremuli simboli che la mia fallibile mano sgorbia sulla copertina d’un libro, con le lettere organiche dell’interno: puntuali, delicate, nerissime, inimitabilmente simmetriche. Secondo: Il numero dei simboli ortografici è di venticinque. Questa constatazione permise, or sono tre secoli, di formulare una teoria generale della Biblioteca e di risolvere soddisfacentemente il problema che nessuna congettura aveva permesso di decifrare: la natura informe e caotica di quasi tutti i libri. Uno di questi, che mio padre vide in esagono del circuito quindici novantaquattro, constava le lettere M C V, perversamente ripetute dalla prima all’ultima riga. Un altro (molto consultato in questa zona) è mero labirinto di lettere, ma l’ultima pagina dice Ob tempo le tue piramidi. E’ ormai risaputo: per una riga ragionevole, per una notizia corretta, vi sono leghe di insensate cacofonie, di farragini verbali e di incoerenze. (So d’una regione barbarica i cui bibliotecari ripudiano la superstiziosa e vana abitudine di cercare un senso nei libri, e la paragonano a quella di cercare un senso nei sogni o nelle linee caotiche della mano… Ammettono che gli inventori della scrittura imitarono i venticinque simboli naturali, ma sostengono che questa applicazione è casuale, e che i libri non significano nulla di per sé. Questa affermazione, lo vedremo, non è del tutto erronea). Per molto tempo si credette che questi libri impenetrabili corrispondessero a lingue preterite o remote. 0ra è vero che gli uomini piú antichi, i primi bibliotecari, parlavano una lingua molto diversa da quella che noi parliamo oggi: è vero che poche miglia a destra la lingua è già dialettale, e novanta piani piú sopra è incomprensibile. Tutto questo, lo ripeto, è vero, ma quattrocentodieci pagine di inalterabili M C V non possono corrispondere ad alcun idioma, per dialettale o rudimentale che sia. Altri insinuarono che ogni lettera poteva influire sulla seguente, e che il valore di MCV nella terza riga della pagina 71 non era lo stesso di quello che la medesima serie poteva avere in altra riga di altra pagina; ma questa vaga tesi non prosperò. Altri pensarono ad una crittografia; quest’ipotesi è stata universalmente accettata, ma non nel senso in cui la formularono i suoi inventori. Cinquecento anni fa, il capo d’un esagono superiore trovò un libro tanto confuso come gli altri, ma in no quasi due pagine di scrittura omogenea, verosimilmente leggibile. Mostrò la sua scoperta a un decifratone ambulante, e questo gli disse che erano scritte in portoghese; altri dissero che erano scritte in yiddish. Poté infine dopo ricerche che durarono quasi un secolo, che si trattava d’un dialetto samoiedo-lituano del guaraní, con inflessioni di arabo classico. Si decifrò anche il contenuto; nozioni di analisi combinatoria, illustrate con esempi di permutazioni a ripetizione illimitata. Questi esempi permisero a un bibliotecario di genio di scoprire la legge fondamentale della Biblioteca. Questo pensatore osservò che tutti i libri, per diversi che fossero, constavano di elementi eguali: lo spazio il punto, la virgola, le ventidue lettere dell’alfabeto. Stabilí inoltre, un fatto che tutti i viaggiatori hanno confermato non vi sono, nella vasta Biblioteca, due soli libri identici. Da queste premesse incontrovertibili dedusse che la Biblioteca è totale, e che i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici (numero anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto ciò che è dato esprimere, in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell’avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fede della Biblioteca, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo autentico, l’evangelo gnostico di Basilide, il commento di questo evangelo, il commento del commento di questo evangelo, il resoconto veridico della tua morte, la traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri. Quando si proclamò che la Biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima impressione fu di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si sentirono padroni di un tesoro intatto e segreto. Non v’era problema personale o mondiale la cui eloquente soluzione non esistesse: in un qualche esagono. L’universo era giustificato, l’universo attingeva bruscamente le dimensioni illimitate della speranza. A quel tempo si parlò molto delle Vendicazioni: libri di apologia e di profezia che giustificavano per sempre gli atti di ciascun uomo dell’universo e serbavano arcani prodigiosi per il suo futuro. Migliaia di ambiziosi abbandonarono il dolce esagono natale e si lanciarono su per le scale, spinti dal vano proposito di trovare la propria Vendicazione. Questi pellegrini s’accapigliavano negli stretti corridoi, proferivano oscure minacce, si strangolavano per le scale divine, scagliavano i libri ingannevoli nei pozzi senza fondo, vi morivano essi stessi, precipitativi dagli uomini di regioni remote. Molti impazzirono… Le Vendicazioni esistono (io ne ho viste due, che si riferiscono a persone da venire, e forse non immaginarie), ma quei ricercatori dimenticavano che la possibilità che un uomo trovi la sua, o qualche perfida variante della sua, è sostanzialmente zero. Anche si sperò, a quel tempo, nella spiegazione dei misteri fondamentali dell’umanità: l’origine della Biblioteca e del tempo. È verosimile che di questi gravi misteri possa darsi una spiegazione in parole: se il linguaggio dei filosofi non basta, la multiforme Biblioteca avrà prodotto essa stessa l’inaudito idioma necessario, e i vocabolari e la grammatica di questa lingua. Già da quattro secoli gli uomini affaticano gli esagoni… Vi sono cercatori ufficiali, inquisitori. Li ho visti nell’esercizio della loro funzione: arrivano sempre scoraggiati; parlano di scale senza un gradino, dove per poco non s’ammazzarono; parlano di scale e di gallerie con il bibliotecario; ogni tanto, prendono il libro piú vicino e lo sfogliano, in cerca di parole infami. Nessuno, visibilmente, s’aspetta di trovare nulla. Alla speranza smodata, com’è naturale, successe una eccessiva depressione. La certezza che un qualche scaffale d’un qualche esagono celava libri preziosi e che questi libri preziosi erano inaccessibili, parve quasi intollerabile. Una setta blasfema suggerí che s’interrompessero le ricerche e che tutti gli uomini si dessero a mescolare lettere e simboli, fino a costruire, per un improbabile dono del caso, questi libri canonici. Le autorità si videro obbligate a promulgare ordinanze severe. La setta sparí, ma nella mia fanciullezza ho visto vecchi uomini che lungamente s’occultavano nelle latrine, con dischetti di metallo in un bossolo proibito, e debolmente rimediavano al divino disordine. Altri, per contro, credettero che l’importante fosse di sbarazzarsi delle opere inutili. Invadevano gli esagoni, esibivano credenziali non sempre false, sfogliavano stizzosamente un volume e condannavano scaffali interi: al loro furore igienico, ascetico, si deve l’insensata distruzione di milioni di libri. Il loro nome è esecrato, ma chi si dispera per i “tesori” che la frenesia di coloro distrusse, trascura due fatti evidenti. Primo: la Biblioteca è cosí enorme che ogni riduzione d’origine umana risulta infinitesima. Secondo: ogni esemplare è unico, insostituibile, ma (poiché la Biblioteca è totale) restano sempre varie centinaia di migliaia di facsimili imperfetti, cioè di opere che non differiscono che per una lettera o per una virgola. Contrariamente all’opinione generale, credo dunque che le conseguenze delle depredazioni commesse dai Purificatori siano state esagerate a causa dell’orrore che quei fanatici ispirarono. Li sospingeva l’idea delirante di conquistare i libri defl’Esagono Cremisi: libri di formato minore dei normali; onnipotenti, illustrati e magici. Sappiamo anche d’un’altra superstizione di quel tempo: quella dell’Uomo del Libro. In un certo scaffale d’un certo esagono (ragionarono gli uomini) deve esistere un libro che sia la chiave e il compendio perfetto di tutti gli altri: un bibliotecario l’ha letto, ed è simile a un dio. Nel linguaggio di questa zona si conservano tracce del culto di quel funzionario remoto. Molti peregrinarono in cerca di Lui, si spinsero invano nelle piú lontane gallerie. Come localizzare il venerando esagono segreto che l’ospitava? Qualcuno propose un metodo regressivo: per localizzare il libro A, consultare previamente il libro B; per localizzare il libro B, consultare previamente il libro C; e cosí all’infiníto… In avventure come queste ho prodigato e consumato i miei anni. Non mi sembra inverosimile che in un certo scaffale dell’universo esista un libro totale; prego gli dèi ignoti che un uomo – uno solo, e sia pure da migliaia d’anni! – l’abbia trovato e l’abbia letto. Se l’onore e la sapienza e la felícità non sono per me, che siano per altri. Che il cielo esista, anche se il mio posto è all’inferno. Ch’io sia oltraggiato e annientato, ma che per un istante, in un essere, la Tua enorme Biblioteca si giustifichi. Affermano gli empi che il nonsenso è normale nella Biblioteca, e che il ragionevole (come anche l’umile e semplice coerenza) è una quasi miracolosa eccezione. Parlano (lo so) della “Biblioteca febbrile’ i cui casuali volumi corrono il rischio incessante di mutarsi in altri, e tutto affermano, negano e confondono come una divinità in delirio”. Queste parole, che non solo denunciano il disordine, ma lo illustra. no, testimoniano generalmente del pessimo gusto e della di sperata ignoranza di chi le pronuncia. In realtà, la Biblioteca include tutte le strutture verbali, tutte le variazioni permesse dai venticinque simboli ortografici, ma non un solo nonsenso assoluto. Inutile osservarmi che il miglior volume dei molti esagoni che amministro s’intitola Tuono pettinato, un altro Il crampo di gesso e un altro Axaxaxas mló. Queste proposizioni, a prima vista incoerenti, sono indubbiamente suscettibili d’una giustificazione crittografica o allegorica; questa giustificazione è verbale, e però, ex bypothesi, già figura nella Biblioteca. Non posso immaginare alcuna combinazione di caratteri

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che la divina Biblioteca non abbia previsto, e che in alcuna delle sue lingue segrete non racchiuda un terribile significato. Nessuno può articolare una sillaba che non sia piena di tenerezze e di terrori; che non sia, in alcuno di quei linguaggi, il nome poderoso di un dio. Parlare è incorrere in tauto-logie. Questa epistola inutile e verbosa già esiste in uno dei trenta volumi dei cinque scaffali di uno degli innumerabili esagoni – e cosí pure la sua confutazione. (Un numero n di lingue possibili usa lo stesso vocabolario; in alcune, fl simbolo biblioteca ammette la definizione corretta di sistema duraturo e ubiquitario di gallerie esagonali, ma biblioteca sta qui per pane, o per piramide, o per qualsiasi altra cosa, e per altre cose stanno le sette parole che la definiscono. Tu che mi leggi, sei sicuro d’intendere la mia lingua?) Lo scrivere metodico mi distrae dalla presente condizione degli uomini, cui la certezza di ciò, che tutto sta scritto, annienta o istupidisce. So di distretti in cui i giovani si prosternano dinanzi ai libri e ne baciano con barbarie le pagine, ma non sanno decifrare una sola lettera. Le epidemie, le discordie eretiche, le peregrinazioni che inevitabilmente degenerano in banditismo, hanno decimato la popolazione. Credo di aver già accennato ai suicidi, ogni anno piú frequenti. M’inganneranno, forse, la vecchiezza e il timore, ma sospetto che la specie umana – l’unica – stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta. Aggiungo: infinita. Non introduco quest’aggettivo per un abitudine retorica; dico che non è illogico pensare che il mondo sia infinito. Chi lo giudica limitato, suppone che in qualche luogo remoto i corridoi e le scale e gli esagoni possano inconcepibilmente cessare; ciò che è assurdo. Chi lo immagina senza limiti, dimentica che è limitato il numero possibile dei libri. lo m’arrischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine.

 

“Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli”

Sunday, June 12th, 2011

Henri Cartier-Bresson

 

Han Shaogong, opinione…

Saturday, June 11th, 2011

 


Xia: Qual’è la tua opinione riguardo le critiche fatte da Liu Xiaobo nei confronti della scuola della Ricerca delle Radici? Sei d’accordo con lui?

Han: Noi siamo d’accordo sia con lo spirito ribelle e l’urgenza emotiva con cui Liu Xiaobo critica la tradizione feudale cinese, sia anche con alcune particolari idee. Tuttavia se la critica del feudalesimo orientale implica la negazione di tutta la cultura orientale, anche la critica del feudalesimo occidentale dovrebbe comportare la negazione di tutta la cultura occidentale. Se si critica l’oppressione della religione sugli uomini si dovrebbe forse cancellare tutta l’arte religiosa? E’ troppo semplicistico. Volgersi al passato alla ricerca di argomenti può sembrare una regressione spirituale, ma in reatà è ben altra cosa. L’arte del rinascimento europea si ispirava per lo più alla mitologia greca e romana, ma serebbe difficile definirla un movimento retrogrado. Inoltre, parlando di letteratura si possono usare parole come “evoluzione” e “regressione”? Se non si comprende che la visione utilitaristica e quella estetica sono due differenti criteri di valutazione e si pretende che la letteratura sia funzionale e utile, anche se facessimo uso di un utilitarismo estremamente moderno per unificare tutte le letterature, questo non sarebbe “moderno” in sè e sarebbe lontanissimo dai modelli del pensiero moderno pluralistico.

Un altro errore di Liu Xiaobo lo compie riguardo la filosofia: manca soprattutto di comprensione per la filosofia orientale. Dice che la cultura cinese è “fondata sulla ragione” e per questo deve essere completamente abbandonata, ma anche a non voler considerare i suoi esagerati pregiudizi nei confronti della ragione, resta il fatto che le sue critiche sono valide esclusivamente per i confuciani. La filosofia taoista e quella Zen sono da sempre fondate sull’irrazionale. La cultura tradizionale cinese era esteriormente confuciana ma nteriormente taoista e buddhista: Confucio e Mencio per governare, Buddhismo e Taoismo per coltivare lo spirito. I concetti di relatività, totalità e intuizione, propri della filosofia taoista e buddhista fanno ancor’oggi parte del tesoro del pensiero umano. I cinesi che li conoscono sono pochi, gli occidentali in grado di comprenderli ancora meno; solo grandi menti della cultura come Einstein, Leibniz, Bohr, Prigogine, Heidegger ed altri hanno ammirato. Ora noi dobbiamo studiare perchè mai questa saggezza sia diventata un vuoto ed inutile oppio dello spirito e nella Cina moderna e come mai il filoso Zhuangzi sia diventato lo Ah Q di Lu Xun. Quando avremmo risolto questo problema, questi aspetti negativi si tramuteranno in aspetti positivi. Penso quindi che non sia necessario punire Zhuangzi solo perchè la Cina ha prodotto un Ah Q, nè si debba provare un senso di inferiorità di fronte tutto e tutti.

Liu Xiaobo estende il leggittimo desiderio di modernizzazione politica e sociale fino a farlo diventare una richiesta di totale occidentalizzazione della cultura. Questa è un’ossesisone, una perniciosa infatuazione. Fino a che punto si può ammettere la sua affermazione “Tutta la cultura tradizionale cinese è feccia”, vuole forse che un miliardo di cinesi abbandonino la lingua cinese per una lingua occidentale? Dubito che siano queste le sue reali intenzioni; credo che egli si avvalga di tali esagerazioni solo per dare maggiore enfasi alla sua voce, non dobbiamo prenderlo quindi troppo sul serio.

Tratto da Ventitrè testimonianze autobiografiche, Scrittori in Cina a cura di Helmut Martin, Helen Xia intervista Han Shaogong, scrittore del primo periodo anni 80 il quale ricerca l’arte poetica all’interno di quelle che sono le radici della propria cultura, scavando fino alle proprie orgini.

 

Saggezza cinese

Friday, June 3rd, 2011

是你的就是你的, 不是你的就不是你的

ciò che è tuo è tuo, ciò che non è tuo non è tuo



 

E lui

Wednesday, April 20th, 2011

Where the mind is without fear and the head is held high
Where knowledge is free
Where the world has not been broken up into fragments
By narrow domestic walls
Where words come out from the depth of truth
Where tireless striving stretches its arms towards perfection
Where the clear stream of reason has not lost its way
Into the dreary desert sand of dead habit
Where the mind is led forward by thee
Into ever-widening thought and action
Into that heaven of freedom, my Father, let my country awake

Rabindranath Tagore, 1861 Calcutta – 1941 Calcutta

 

Lui

Tuesday, April 19th, 2011

One free man will say with truth what he thinks and feels amongst thousands of men who by their acts and words attest exactly the opposite. It would seem that he who sincerely expressed his thought must remain alone, whereas it generally happens that every one else, or the majority at least, have been thinking and feeling the same things but without expressing them.

Leo Tolstoy, 1828 Yasnaya Polyana – 1910 Astapovo

Il giuramento

Wednesday, April 13th, 2011

E’ che un giorno a nove anni mi sono detta, non ti dimenticare mai chi sei e cosa stai pensando adesso.

Ero in balcone, avevo smesso di piangere e la forte convinzione che i cambiamenti del tempo mi avrebbero fatto diventare qualcun’altro mi ha imposto la sentenza di quel giorno. Solenne. Quel giorno non trovavo quello che stavo cercando, non trovavo il pennarello blu, l’unico che poteva completare una delle tante serie di cieli che disegnavo. I personaggi  che contornavano il cielo, erano alberi  uccelli, un cane seduto e una bambina che guardava davanti a se’. Minuziosamente cercavo di far rientrare tutto nelle linee appena disegnate a matita, i colori pasticciati mi hanno sempre infastidito. Quindi l’opera poteva essere completata solo con il blu. Ma il blu non si trovava, l’ho cercato ovunque, scatole e scatoloni per terra, astucci e cartelle, ma nulla. Quello che c’era nei cassetti era sparso ovunque, e nella mia camera c’erano ben sette cassetti. I rumori dalla mia camera avevano sempre piu’ il sapore di terremoto  ma dall’altra parte della casa ancora non si sentivano i passi, che sapevo sarebbero arrivati di li’ a poco. Continuavo nella mia ricerca imperterrita. Una cater pillar del pennarello. Sapevo che non mi potevo accontentare di fare il cielo di un’altro colore, sapevo che non era possibile, nonostante vedevo e disegnavo cieli diversi, la fantasia non mi mancava. In quel momento, pero’, quello cercavo era l’unica cosa che potessere riempire quello spazio nel foglio. Non c’era altro colore che lo avrebbe potuto sostituire.

Ecco i passi, vicini. Il disordine combinato mi sembrava impossibile da nascondere in tre secondi. Decisi di far finta di nulla e continuare nella mia ricerca. La porta aperta all’improvviso, era la solita voce, che ripeteva le solite parole, le solite mani che con fare di chi sa dare giudizi puntavano gli indici sulla stanza e sul pavimento. Pensavo come fosse inconcepibile non capire l’esigenza del disordine procurato, per far si’ che il bianco si tingesse di blu. Le lacrime che cominciavano a scendere dagli occhi  erano solo per la rabbia nel non riuscire a completare quello per cui mi ero impegnata fino a quel momento.

Mi sono seduta in balcone, del pennarello neanche l’ombra. Quello che pensavo era me stessa, forse la prima volta che coscientemente riflettevo sulle mie azioni e su quello che mi aveva spinto a mettere sotto sopra qualunque cosa alle mie spalle. Il bello che non c’era nulla di male, assolutamente nulla di male, l’avrei rifatto mille volte.

E’ per questo che giurai solennemente di non dimenticarmi chi ero e a cosa stessi pensando.

 

Si o no?

Wednesday, April 13th, 2011

 

怎么说呢, 当年的事儿不能事儿后聊,事后聊都是经过概括。我不怎么敢跟人聊,就是怕聊出来不是自己,是想像的自己,演的自己。好在有画面把着我。

王朔

 

Il re e lo scudiero

Monday, March 28th, 2011

Per essere scudiero del re, bisogna superare delle prove. “Intanto non devi parlare, ma devi ricevere uno sguardo di assenso e poi puoi aprire bocca. Sarà un po’ difficile all’inizio ma poi diventata tutto naturale, imparerai a parlare solo dopo avermi guardato e, saprai già dentro di te, se quello che starai per dire lo potrai dire o meno”. Lo scudiero indossa la calzamaglia bianca, incollata ai peli delle gambe, una bisaccia alla cinta e una comoda mantella, la barba incolta e una spada. Il re, è ciò di cui lo scudiero a bisogno per la sua realizzazione, pensano i più. Insegnamento, incoraggiamento e inutile speranza di raggiungere la libertà. Chi sarebbe lo scudiero senza re? Nessuno. Mormora la gente.

Un’altra prova è bere. Bere fino a svenire sempre tenendo presente la spada, la ciotola e il riso. Non bere e lasciarsi andare, soli nella notte, ma essere sempre lì accanto al re, tra il suo vomito e le cosce della dama di turno. L’alcool lo può sfinire, ma non lo deve abbattere, in quanto la presenza deve essere costante, lo sguardo del re potrebbe sempre arrivare per ricevere l’assenso dello scudiero, quindi essere presente non a se stesso ma al re.  Sempre.

Certo, tra i ciottoli e le vie della piccola fortezza, non è facile non intrufolarsi un una locanda con la luce bassa e invitante, fuori tira un po’ di vento, i brividi passano tra le maniche larghe della mantella e il desiderio dello scudiero è quello di aprire la porta, chiedere un bicchiere di qualsiasi alcool e sentire i passi degli altri viandanti al piano di sopra, il legno assorbe ma il suono si espande e crea immediatamente calore. Invece no.

Il re, comunica allo scudiero la terza prova, in assenza del re, lo scudiero deve essere sempre riconosciuto come tale. Un segno di distinzione. Che non può essere un tatuaggio, deve essere un marchio fatto con il fuoco, tre profonde cicatrici fatte da un rovente pezzo di metallo, sul polso sinistro dello scudiero, solo così il re saprà che lo scudiero lo appartiene.

Lo scudiero è un bravo scudiero, acconsente e supera tutte le prove. Tutti li acclamano: lo scudiero e il re.

Solo da lontano una vecchia, la povera pazza che di giorno vaga nei mercati e la notte si sofferma a guardare la gente, continua a ripetere la stessa frase, da secoli e secoli:

il re senza scudiero non è nessuno, il re senza scudiero non è nessuno.

 

sul set [parte prima]

Thursday, March 24th, 2011

Ho sempre rifiutato ogni invito per i laowai a piccole apparizioni nel film cinesi, sempre. Tranne questa volta.

Mi chiama un’amica, fotografa di scena, tardo pomeriggio, chiede scusa ma non riesce a trovare nessuno per domani, mi chiede di andare. Il solito rifiuto stava per interrompere subito la telefonata, poi un lampo di genio, mi fa dire “Si va bene”. Le laowai devo essere due, faccio una telefonata anche per L. va bene: domani giornata alternativa.

L’appuntamento con W. che corre da una parte all’altra per scattare mille foto e’ in un albergo alla periferia nord di Pechino. Arriviamo e al telefono mi dice di salire alla stanza 201, la mia camminata molto linchana si interrompe subito, quando ci accoglie un effemminato aiuto regia.  Stretta di mano molliccia, e un sorriso e Halooo 🙂  La stanza disordinata, due uova e del cibo non finito sulla scrivania. Ci spiega un po’ di cosa si tratta, una serie televisiva tra mafiosi e polizziotti, noi saremo le belle fanciulle del mafioso cinese che e’ appena uscito di galera, lo accoglieremo tutti in una piscina riscaldata con champagne. (io dentro di me. COSA!!!!). Cerco di avere un po’ di informazioni in piu’, a marzo a Pechino fa ancora freddo, piscina, costume? COSA?? Il gentile aiuto regista, sorride placidamente, tesoro mi dice, l’acqua sara’ molto calda, non ci saranno problemi.

Sento i passi di W. attutiti dalla moquette rossa che arrivano dal corridoio, la voce invece arriva forte e chiara. “Cazzo, avete una sigaretta, mi sono dimenticata tutto, non ho neanche la macchina, ce l’hanno quelli dall’altra parte del set. Cazzo, voglio fumare.” Non la vedo da tanto W. fotografa, madre e moglie. Una ragazza indipendente dalla faccia tonda e con una gran forza nelle braccia per portarsi in giro sempre le sue due macchine fotografiche. Mi sorride e mi racconta i suoi mesi, infinito lavoro, poche ore di sonno, tempo zero di stare con suo figio e suo marito “Neanche sa qual’e’ la mia faccia” scherza.

Mi lancia due vestiti mezzo sexy sulle gambe e dice “Ti piace, provali che poi ve li dovete mettere”. Mi tranquillizzo, niente costume, niente piscina. I vestiti vanno bene, hanno un nonsoche’ di rassicurante, poteva andare molto peggio.

Arriva il momento di andare, tutti in un piccolo pulmino, noi e un po’ di attori, c’e’ anche la bella  bambolettta che non parla, c’e’ il ciccione mafioso con il pizzetto, il pelato, cattivo anche lui, e altre persone poco identificate. Dopo un bel po’ di strada, le montagne fuori da Pechino si fanno sempre piu’ vicine, il trabiccolo si infila in un grande residence, uno dei piu’ grandi stabilimenti termali di pechino.

La mia associazione mentale e’ immediata: terme=acqua=costume=freddo (fuori fanno 2 gradi circa)

Il trucco, eccomi trasformata in una bella bamboletta russa, capelli corti, pieni di spuma e lacche varie, fondotinta spesso, occhi azzurri azzurri, ma sono i miei. Mi guardo allo specchio e penso, poteva andare peggio. Il cinema maschera tutto, anche il neo di cui vado fiera sopra il labbro superiore.

L. fida compagna curiosa si lascia pettinare e truccare. Ad un certo punto giriamo gli occhi, un costume appare sulla scena. Affermo con dignita’, io non me lo metto. L. scuote anche lei la testa.

Faccio un giro ci sono piscine ovunque, terme, acqua, saune, pietre riscaldate, pozze fredde e calde, e sento che non ci sono piu’ troppe speranze. C’e’ davvero troppa acqua e un costume sul letto.

La realta’ si compie, devo indossare un costume gepardato con un gonnellino marrone. Cristo, stavolta e’ pesante, ma ormai siamo in ballo e balliamo. L. povera, date le sue taglie non proprio cinesi, viene vestita con una sottoveste color violetto, non so chi fa piu ridere delle due.

Il set: mi piace l’atmosfera, tutti indaffarati e attenti a cio’ che si deve e dovra’ fare, si scherza ma avendo sempre un punto  fisso, finire il prima possibile e farlo al meglio. Ci vengono spiegate due o tre cose. La scena un barbeque intorno al fuoco (e menomale, sono gia’ in costume), il boss e’ appena uscito di galera, ci mettiamo in acqua, comincamo a divertirci nell’acqua (cazzo significa, penso io), ci danno da bere, beviamo, al boss arriva una telefonata, un grido di terrore del boss, butta il telefono nell’acqua e noi attoniti lo guardiamo.

Facile, si puo’ fare (ma TUTTO in ACQUA e in COSTUME)

 

(la seconda puntata tra poco, finisco una traduzione che mi sta facendo divertire e impazzire, davvero tutto e’ traducibile? Masini docet o e’ vero il qualunquismo comune che tradurre e’ tradire? Io propendo per il bicchiere mezzo pieno, ma parliamone)