Archive for May, 2011

Metropia

Sunday, May 29th, 2011

Plot non originale – scure atmosfere intense – produzione svedese

Quasi, neon.

Sunday, May 29th, 2011

E’ da due mesi che le luci al neon mi infastidiscono, non entro nei ventiquattrore, supermercati, seveeleven  senza corrugare sopracciglia e fronte. Alla fine mi abituo, con amarezza ci si abiuta a quasi tutto. I bancomat notturni, ugualmente li tengo alla larga il più possibile, ma quella sera, nel portafoglio non avevo neanche una banconota, ed ero stanca, cercavo un taxi. Anzi prima cercavo dei soldi, mi sembra di ricordare. Entro, scontrosa nei confronti dell’algida luce metallica. Arriccio il naso e cammino a testa bassa, una persona accanto a me, la sua immagine si riflette nel lucido pavimento che non fa che aumentare la mia stizza nei confronti dell’artificio in senso lato, emotivamente e praticamente. Mi accosto alla macchina sputasoldi a sinistra, la persona di destra se ne va. Sono sola. Cerco il bancomat e mi accorgo che poggiata lì, accanto alla bocca della sputasoldi, c’è una curioso sacchetto, stretto da un laccio blu scuro. Piano piano sciolgo il nodo e la curiosità apre la strada alla fantasia. Dentro banconote tailandesi, quelle violacee dai tratti bluastri, con il re di turno occhialuto, le riconosco con un balzo indietro nel tempo di dodici anni. Sono tante e nuove. Il sacchetto stretto si allarga sempre di più, il tempo si perde in quello che c’è al suo interno e lascia che lo stupore infantile veda, quello che c’è davvero. Una lunga collana fatta di conchiglie piccole piccole, ninete a che vedere con il kitsch da bigiotteria di primo livello. Tutto era perfettamente calibrato e di una finezza magistrale, saranno state sicuramente piccole mani e comporla. Minuscoli frammenti attorno a quello che avrebbe dovuto essere il perno tubolare di cui non si individua più l’esistenza. La forma è ricreata nuovamente. Argento. Sembra che non possa finire: il sacchetto si apre gentilmente, lasciando entrare la mano. Il vuoto si riempie di un ciondolo, una farfalla dalle ali allungate, stizzose nella loro femminilità, dal colore stridulo e immateriale nella sua consistenza, come quei rari tesori che popolano le menti dei bambini. Lo prendo in mano delicatamente e osservo gli intrecci di oro bianco, i perfetti lineamenti, avrebbe potuto volare e nessuno ne rimarrebbe stupito

I colori si cominciano a fondere, il viola acido delle banconote, l’argento di quei frammenti e la filigrana dell’ altezzoso lepidottero. Improvvisamente, sono scaraventata fuori il sacchetto si richiude, scompaiono banconote, collane e ciondoli. Una luce, non quella lì fastidiossa del neon, a cui quasi ci si abitua, ma quella dell’interno di una macchina, che si accende mentre si apre lo sportello, calda e rassicurante. Sono seduta, non capisco.

“Signorina, è arrivata a casa”

 

Domani e’ un altro giorno

Monday, May 16th, 2011

Mentre ascoltavo le sue parole soffrivo per l’ennesima volta del mio status di un po’ capisco un po’ no.

E’ vero mi affido alle sensazioni e a quello che lascia un’intero discorso, mentre continuo ad ascoltare imperterrita. Avrei voluto essere davanti ad un camino, con la traquillita’ nel sapere che comunque il tempo scorre senza che ci sia un colpevole e senza avere la sensazione di star perdendo qualcosa. Quando parlo la mia lingua, mi trovo sovrappensiero una marea di volte, l’interlocutore spesso non se ne accorge, succede a tutti, e quindi aggettivi, avverbi, quello che rendono colorato un passaggio anche se si perdono risuonano tra le orecchie e vanno dritti da qualche parte, per cui comunque posso affermare che rimangono li’, ci sono.

Quando parlo in na lingua che non e’ la mia, ho un’attenzione tripla per non lasciarmi sfuggire quello che naturalmente non riesco ad afferrare, mille le ragioni: il mio vocabolario ancora troppo scarno, la ricchezza della lingua cinese, i giochi di parole, le battute, l’accento dell’interlucutore, che ovviamente non e’ una macchina (o un presentatore televisivo, che quasi quasi sembrano tutte macchine dal perfetto mandarino)

Piu’ l’argomento mi interessa e piu’ mi sento frustrata per non riuscere ad esplicitare il mio pensiero in forma matura. Leggo tanto in questo periodo e so che dovrebbe aiutare, ma so perfettamente che alcune sfumature sono sottopelle, e la mia e’ una pelle diversa, piena di nei, di ricordi che non lasciano il mar mediterraneo e la Sardegna. Riflettono una cultura che si distanzia anni luce, sovrastrutture? Forse.

Ho sempre ritenuto gli uomini simili per cio’ per cui vale la pena di vivere, ossia poche cose ma fondamentali e forse basterebbe questo per non farsi’ che prevalga la frustrazione becera. Ma cazzo, mentre lui sfoderava storie, racconti, immagini, metafore, non riuscir a cogliere interamente la tavolozza dei colori continua a lasciarmi dentro insoddisfazione.

Manana es otro dia, ma non potevo andare in Argentina, chi me lo ha fatto fare?

Occhi

Monday, May 9th, 2011

Abituata a non vedere i particolari dei volti mi concentravo sulle immagini sfocate, cercando di definire chi fosse attorno a me. I bicchieri di vino non contavano, contavano le distanze fisiche. Due metri di distanza e tornavo nuovamente a riprendere il controllo della mia immaginazione che diveniva nuovamente realta’. Gli occhi fanno brutti scherzi qualche volta. Lasciano incompiuti i disegni dei volti, le linee tratteggiate senza cura, i nei possono scomparire, svanire chissa’ dove. I tratti caratteristici delle persone si mimetizzano con il colore della pelle che rende tutti umani, tutti un po’ simili tra di noi. Forse per questo ho sempre apprezzato e cercato quella lucentezza nello sguardo che prescinde dalla sfocatezza, qualcosa che buca d’improvviso, come la luce che improvvisamente si accende nel buio di un vicolo , che sia Pechino o Trastevere, e che non puo’ non incantare. Tutto questo e’ durato per molti anni, 3o anni circa.

Poi un giorno, tutto e’ cambiato. Sono rimasta allibita dai particolare, da come riusciamo ad essere caricaturali nel nostro piccolo, complici i nostri antenati che albergano nei nostri zigomi, sulla fronte, tra le sopracciglia folte, per non parlare dei piccoli nei che mi trovo ovunque sulle braccia e sulle gambe. Che vedo sui nasoni delle persone che mi sono sempre state vicino. Scopro per la prima volta, espressioni sottese che sono li’ che non vogliono bucare nulla nel buio, ma che da sempre esistono. Conscie della loro identita’. Adesso quindi mi perdo di nuovo in tutto questo magnetico mondo di delicati dettagli e robuste nervature. Mi concentro sempre sull’altro, non come facevo prima, nel tentativo di carpire, ma nella fascinazione che creano in me le mille espressioni che sottili non sono piu’.

Vedere bene, forse è come non vedere bene, se quello che riusciamo ad afferrare è sempre il troppo grande o il troppo piccolo.

Questioni di prospettive, rispose mia madre.