Archive for the ‘Sotto il cielo’ Category

il tale – chengguan

Friday, July 1st, 2011

Non me lo ero mai trovata di fronte, ma ne avevo sentito parlare dai giornali, su internet e la gente per strada a volte lo nomina, chi abbassando lo sguardo in segno di sdegno e mortificazione e chi lo manda direttamente a quel paese. Il personaggio in questione è il Chengguan 城管.

Il Chengguan ha diritto e potere di controllare che le piccole attività del quartiere, quindi negozi, piccoli punti vendita, ambulanti, abbiamo i permessi e siano in regola. Il piccolo potere del Chengguan, viene sublimato dalla speranza di essere qualcuno, qualcuno che conta tra le vie di ogni distretto o crocicchio. Perchè può ordinare, dirigere e modificare il corso naturale, anarchico e caotico della vita quotidiana. Quindi non c’è mestiere più triste e fastidioso.

Esco di casa, fischietto, tra la pioggia che cade fina, un sollievo dall’afa che ristagna sotto il tetto grigio. La fruttivendola di fiducia è sempre aperta, una delle poche sicurezze di questo periodo, stabile nelle sue dodici ora al giorno di lavoro. Dopo pochi passi mi trovo tra melanzane, frutti esotici, meloni e angurie (mi hanno detto di non comprare gli Yangmei perchè hanno sempre i vermi, nelle due settimane precedenti ho mangiato solo Yangmei, cazzo). Saluto come ogni giorno, oggi ci sono la signora e la ragazza, che mi rispondono cordiali. Oltre me ci sono altre tre clienti. Scelgo il mio pasto quotidiano, verdure simili al broccolo di sapore ma non per la forma, ottime con la pasta. Mi metto in fila per aspettare che vengano pesate e pagare. Tutto ciò nel quotidiano torpore delle commercianti, andamento naturale dei noi clienti e nell’anarchico posizionamento delle cassette di frutta e verdura, tutto come al solito.

Spunta, però, un suono, gracchiante e fastidioso da un walkie talkie, una bicicletta e con la bicicletta un tale. Scruta il negozio e guarda all’interno, non scende dalla bicicletta, con fare sprezzante urla qualcosa alla signora. Io, assorta nei colori delle verdure, alzo la testa per capire chi è il nuovo arrivato, che rompe i coglioni. La fruttivendola, fa finta di nulla, il tale alza di nuovo la voce, urlando di spostare le cassette che intralciano, di mettere i cetrioli meglio, di fare attenzione ai pomodori che cadono. Nel negozio siamo tre clienti, c’è la fila e la signora era tutta impegnata nelle sue azioni quotidiane, mentre la raggazza lava e pulisce le verdure. La signora continua a pesare le vedure e il tale, non smette di urlare, bofonchiare, indicare, sprezzante, con sguardo misto a “io sono io” e ansia da prestazione.

Io so perfettamente quello che ha in testa la signora, perchè il pensiero tra noi cinque era lo stesso, comune, unico, che si sarebbe potuto chiaramente palpare. Tutte noi pensavamo:

1. Ma guarda questo che deficiente, non può parlare senza urlare?

2. (al secondo urlo del tale) Cazzo, è davvero un cretino!

3. (al terzo urlo del tale) O mio dio, odio puro!

4. (al quarto urlo del tale) Om-ma-ni-pad-me-hum (mantra in coro tra noi clienti, la fruttivendola e la ragazza)

5. (il tale va via) Gioia infinita!

Addio

Friday, April 22nd, 2011

“Pensi che sia facile il mestiere del fotografo? Pensi che sia tutta poesia e afferrare l’attimo? Ti dico, non e’ proprio cosi’, o meglio in parte. Pensa ai fotografi di guerra, pensi che sia facile? Da una parte ci sono gli eserciti, le armi, dall’altra parte i medici e gli ospedali, e tu sei li’ in mezzo a vedere morire la gente. Poi c’e’ l’indipendenza dell’informazione, se non ci fossero i fotografi di guerra  cosa si saprebbe? Solo quello che  i governi vogliano che si sappia, l’indipendenza dell’informazione, cazzo, documentare il presente pensi sia una cosa facile?”

www.chrishondros.com

 

 

www.timhetherington.com

 


Padre e figlia

Monday, March 28th, 2011

La scorsa notte, i sogni notturni mi hanno scosso, presa dalla voglia di buttarmi fuori dal letto, questa mattina mi sono lavata, vestita velocemente e sono andata in libreria. Lo scopo era di comprare un libro di Wang Shuo 王朔 dal titolo Io sono tuo padre 我是你爸爸

Fortunatamente vivo vicino ad una libreria molto fornita di Pechino, la Sanlian. Pochi minuti in bicicletta tra il traffico e i gli stretti vicoli e sono arrivata. I soliti tre gradini, la porta di ingresso  e sono immersa nel silenzio. Finalmente, dopo i sogni di questa notte, ci voleva un po’ di calma.

Di solito all’interno c’è molta gente, chi sfoglia riviste, chi romanzi, i soliti clienti delle solite librerie di tutto il mondo. E’ normale vedere persone che prima di comprare un libro lo tengono tra le mani, lo girano e lo rigirano. Nelle librerie cinesi, però c’è anche chi si siede sui gradini che portano da un piano ad un’altro, apre un libro e lì si ferma. Queste sono le persone che mi mettono calma e buonumore. Oggi c’era un quasi quarantenne così immerso nella lettura da far invidia, aveva quasi finito il libro, con le braccia appoggiate sulle ginocchia, accucciato su un piccolo gradino. Sotto di lui un ragazzo molto giovane alle prese con un fumetto, la testa appoggiata alla parete e lo sguardo attento sulle pagine bianche e nere. Al piano inferiore invece un muratore, con le scarpe sporche di calce, ero curiosissima di sapere cosa stesse leggendo, ma non me la sono sentita di disturbare il suo momento di riposo.

Tra tutti quei libri quello che più mi attirava erano i lettori che assaporavano le pagine. Non mi sono soffermata molto, non ho fatto la solita cliente. Ho cercato il libro che volevo, e non c’era, ho optato per un’altro testo dello stesso autore.

Si intitola Conversazione con nostra figlia 和我们的女儿谈话

 

Ri-tornare

Sunday, March 20th, 2011

Non sono mai partita, o meglio, sono partita, tornata, riparita e ritornata. Adesso ho una casa nuova, piccola con un grande albero davanti la finestra che tra poco, spero pochissimo, comincera’ a germogliare nuovamente. Il divano e’ sempre comodo e il bagno continua a gocciolare.

Ho fatto mille cose in questi mesi di assenza, non tedio nessuno elencandole, sminuirei me stessa e sarebbe complesso riassumere chilometri e chilometri in macchina, spersi nel profondo Guizhou; camminate, finalmente libere a Kunming, mangiando piccole fettine di cocco stradolce. Ci sono stati aerei e permanenze in Italia, Areoflot e’ la migliore compagnia del mondo, o mi illudo che lo sia per i suoi biglietti a portata di mano.

L’Italia come al solito mi accoglie ma mi lascia sempre ripartire, sempre felice di farlo.

Ora, sto entrando in un’altro capitolo della mia vita. Ops, tosta questa affermazione, ma veritiera, per tante di quelle ragioni, quindi l’unica cosa da fare e’ rimboccarsi le maniche.

 

 

Il taglio dei capelli

Wednesday, February 17th, 2010

 

Anno della tigre cominciato da una settimana, mi immergo nelle strade di Pechino, tutte rosse per i festeggiamenti di capodanno. Mi alzo la mattina con un solo scopo, tagliarmi i capelli corti. Anticipo che gia’ ho i capelli corti, quindi vuol dire esclusivamente dare una piccola spuntatina, fatta bene,  e magari cercare di essere un po’ originale, un po’ piu’ corti da una parte e un po’ piu’ lunghi dall’altra, giocare un po’ con la mia testa bionda.

Sotto il K. Building c’e’ un posto dove fanno bei tagli, si mormora. Vicino casa, penso e vado. Autobus, affollatto, si sente l’aria di famiglia anche sul 107. Scendo alla fermata, passaggio al 711 per sistemare la mia pancia con delle pallette di riso al salmone avvolto da alghe, detti Onigiri e via alla ricerca dell’artista del capello.

Arrivo nel palazzo, scendo la scala mobile, passo uno spazio che fa pane e torte, uno che vende bigiotteria e peluche a forma di gatto, un supermercato carissimo, ma non trovo il parrucchiere, finche’ in fondo, un locus nero dalla scritta: Creazione alla moda.

Deglutisco ed entro. Il posto merita di esser visitato, tutto nero adornato con drappi di velluto rosso che danno un tocco gothic, specchi ad altezza uomo con cornice d’orata, mi guardo intonro, una piccola faciulla dalla volto molto sveglio e con dei capelli indubbiamente fatti nel 2010 mi accoglie dicendomi “Che prezzo vuoi? 45, 68 o 120? ” Le chiedo la differenza, lei battendo il piede a suon di musica dance che pervade la stanza mi dice “Non c’e’ nessuna differenza, e’ solo questione di tempo, se vuoi una cosa veloce 45 altrimenti spendi di piu'”. Aggrotto le sopracciglia, e lei continua “Il risultato e’ lo stesso, la tecnica e’ quella e’ solo il tempo che cambia”.

E’ inevitabile che io pensi al sesso: una sveltina 45, se vuoi preliminari e una bella serata allora spendi di piu’, il risultato e’ quello, di quello parliamo, no?

Accetto la via di mezzo, tra la sveltina e la bella serata. Mi accoccolo sul divano sotto la televisione, davanti a me altri clienti che mi guardano, e io sotto lo schermo, molto Laowai direi, molto straniera, un po’ me ne vanto delle mie stoltezze. Aspetto, mi gusto il te’ verde in cartone con cannuccie lunghissime offerto da Creazione alla moda e mi guardo intorno.

Ci sono tanti ragazzi che lavorano e tanti clienti, uomini e donne. Tutti con il proprio ruolo, che non si deve confondere, c’e’ chi fa accomodare, chi lava e chi taglia. Indossano vestiti diversi, chi taglia non ha grembiule o quanto, ma i propri Jeans e le proprie magliette molto stylish.

Arriva il mio turno, mi lavano i capelli su di una poltrona posizionata in orizzontale, come su di un letto guardo il soffitto, appeso al soffitto un quadro ritraeva una donna occidentale in stile fine settecento, cornice d’oro appesa, tutto nero attorno, poltrona compresa. Comincio anche io a battere il piede a suon di I will survive, versione dance ovviamente.

Il lavaggio e’ finito, con i miei mille ascuigamanini colorati mi dirigo sulla poltrona, e arriva il Maestro.

Cosi’ mi dicono “Aspetta il maestro, e’ lui che taglia”. Arriva William, cosi’ dice di chiamarsi. Ragazzo trentenne, con l’unghia del mignolo lunga almeno tre centimetri (spero non mi si conficchi in un occhio) .
Lo guardo, incrocio le dita sotto il drappo bianco che mi hanno messo al collo. E’ facile, il taglio rimane quello, solo un po’ piu’ corti. Guardo la facccia di William che viene dal Guangdong, lavora tanto mi dice  ma gli piace, e lo fa con esperienza, (chissa’ quante sveltine gli passano al giorno). Aggiunge “Corti, ma sei una donna”.

Io lo osservo, questo e’ william: biondo tinto, con un crestone al centro della testa che si propende davanti al volto, una sorta di ciuffo del ventunesimo secolo, ai lati capelli abbastanza corti rifiniti tra minirasature e sfoltimenti attenti. Oltretutto William e’ gay. Lui lo sa e lo so anche io.

 

Quindi all’affermazione Tu sei una donna, associata al volere aver i capelli corti, per poco  non suscita una mia  sonora risata diretta sulla sua faccia. Invece, con serieta’ sostengo che la lunghezza dei capelli ha ben poco a vedere con l’essere donna e femminile.

Non so perche’ William si e’ fatto mille problemi per tagliarmi i capelli corti, gli ho chiesto almeno tre volte di tagliare, tagliare e tagliare. Ogni volta che glielo chiedevo pensavo di non voler nulla di speciale, ma in effetti le donne cinesi non hanno i capelli corti. Le donne cinesi sono donne con la chioma lunga e folta, che lanciano da una parte all’altra del collo per ammaliare i predatori cinesi e non.

Mi sono chiesta che vuol dire essere anticonformista in Cina, avere una cresta bionda forse e’ essere alla moda, ma essere alla moda e’ diverso da essere anticonformista. Mi chiedo c’e’ spazio per l’anticonformismo? Qual’e’ l’espressione di questo nella Cina contemporanea? I cinesi giovani sono anticonformisti, oppure dietro i tagli bizzarri, dietro la musica rock che continua e le opere d’arte contemporanea esposte e pagate, ci sono tanti piccoli omini vestiti di blu e grigio che si incanalano dove la massa va?

E queste domande me le faccio ancora, dopo sei anni di vita in Cina. Non credo ci sia nulla da fare, la Cina continua a rimanere un luogo meraviglioso e misterioso, che a volte fa stringere i pugni dalla rabbia e a volte ridere a crepapelle.

Anno della Tigre

Sunday, February 14th, 2010

 

Sembrerebbe che e’ appena iniziato, l’anno della tigre, tra trichetracche’ e bombe a mano. Non vi fidate della tigre, sembrerebbe dire l’oroscopo. Non sposatevi e non figliate nell’anno della tigre. In effetti lo scorso anno, gara a matrimoni per non ritrovarsi ad affrontare le nozze nell’anno della Tigre. 

Alla Tigre piacciono poco i giochetti, specialmente quelli delle Scimmie, quindi propositi per quest’anno: non fare incazzare la Tigre, farsi i fatti propri e andare avanti, liana dopo liana, evitando qualsiasi felino.

approfondimenti animali

Parole sante

Thursday, December 31st, 2009

 

Non c’è consorzio economico, fabbrica automobilistica o industria petrolifera che rendano quanto il commercio dell’informazione. E’ il business più redditizio in assoluto. Che cosa ne consegue? Che mentre, un tempo, a capo dei giornali, delle emittenti televisive o radiofoniche c’erano dei redattori  pieni di passione che combattevano per qualcosa, oggi non ci sono che uomini d’affari. Persone che non hanno, nè vogliono avere, niente a che fare con il giornalismo. Dalle mani di persone che lottano per la verità, l’informazione è passata in quelle di uomini d’affari preoccupati non che l’informazione sia vera, importante e di valore, ma che sia attraente. Oggi, per potersi vendere bene, l’informazione deve essere un prodotto in una confezione di lusso. Il passaggio dal criterio della verità a quello dell’attrattiva rappresenta la grande rivoluzione culturale di cui tutti noi siamo testimoni, i partecipanti e in parte, le vittime. Il caporedattore non chiede se una cosa sia vera, ma se sia vendibile e procuri la pubblicità che gli dà da vivere. I grandi media spostano la nostra attenzione dalle cose importanti ai problemi tecnici: chi lo fa prima, chi ci mette più colore, chi lo fa in diretta, chi in virtuale, chi ha la connessione satellitare, la diretta, la ritrasmissione? In sostanza: chi lascia allo spettatore meno tempo per riflettere?

Autoritratto di un reporter, Ryszard Kapuscinski

 

Adesso: la mia terra

Sunday, December 27th, 2009

 

Niente di meglio di assorbire la vecchia umidità e le nuove rughe di chi mi circonda. Mentre la voce corre e mi fa immaginare capelli e statuine colmi di superstizione o forse verità. Tutto ha un sapore di sentito in quanto alcune cose si sfiorano appena.

Le vecchiette che ti vengono in soccorso come i cani lupi la notte. Magari sono la stessa cosa.

CContinua a piovere, la biglietteria è rotta, mi dicono di andare dal capotreno. Salgo sul treno, cerco un posto, è tutto sporco, cerco un bagno anche questo è rotto, cerco un responsabile che si dilegua dicendomi che dopo arriverà, non pago il biglietto, non per mio volere. Mi immergo nel libro, strizzo gli occhi all’astio che trasmettono le pagine.Voglio andare in Polonia.

Quì si vive il passato. (I fantasmi, i mostri marini, come direbbe qualcuno, sono buoni e cattivi, dipende tutto da noi.) Qui, qui non c’è futuro. Lo schermo  si adegua al digitale, finta tecnologia, ci costringe ad ascoltare voci del passato e vedere rughe nel presente. Capelli bianchi per chi sa osare, il resto si affida al cortisone e al botulino. 

Impareggiabile la varietà che resiste, San Clemente ne è l’esempio.  Quel passato rigoglioso di scultori e mecenati, di vitalità e  di marmi sfregati a lucido. La gente si improvvisava, vendeva, rubava era indaffarata nel sopravvivere tra le guerre e i padroni. La chiesa, la casa, le madonnine. Questo è il paese da dove vengo. Era un paese vivo.

Passato solo passato, solo ancoramento alla tradizione, fosse vera carità cristiana. Gran parte delle persone mi sembrano anziane, la maggior parte lo sono. Sono i cappotti e gli ombrelli, l’attenzione alla formalità di chi è usuale alle comodità. Dove i gesti si ripetono perchè si sono fatti il giorno prima e non c’è bisogno di cambiarli. Perchè si dovrebbe. 

Ora c’è qualcosa che stona, non si può sopravvivere di passato, non c’è rigenerazione. Ci sono pellicce vecchie e vecchie borsette. Parole sentite e riascoltate, ma come si fa a vivere solo di ieri? Se fosse un lento spegnimento? Senza un grido.

Ma perchè nessuno grida?

 

Tra il bastone e la carota: la biblioteca.

Sunday, December 13th, 2009

 

Fare l’interprete non fa solamente indossare giacca
e cravatta e tradurre il pensiero altrui alla controparte, porta sul
palco, fa prendere un microfono in mano mentre deglutisci in fretta.
Oppure puo’ far calpestare il prato di un campo da calcio e trovarsi
dietro la porta mentre la squadra avversaria segna un goal.

La scorsa settimana questo lavoro, un po’ fatto di travestimenti e svestimenti, ha aperto le porte della biblioteca.

La
biblioteca e’ la biblioteca nazionale cinese, dove sono stati
accumulati, catalogati e deposti sugli scaffali milioni e milioni di
libri. La parte piu’ nuova e’ stata finita di costruire l’anno scorso,
sembra un’astronave. Spaziosa all’interno invita proprio a sedersi,
alzare lo sguardo per poi immergersi in qualunque cosa sia fatta di
carta. Spaziosa e’ dir poco, e’ poco convenzionale e immensa, spazi
futuristici allungati ed allargati, il tetto pesantissimo si posa sopra
la testa dei lettori senza che nessuno se ne accorga, il legno delle
sale invoca il silenzio.

Legno ed acciaio si
incrociano, per chi cerca entrambi e’ il posto ideale. La tecnologia e’
alla portata di tutti, computer di nuova generazione fanno sfogliare
gratis piu’ di 200 quotidiani inseriti giornalmente. Ci sono database
con vecchie fotografie di Pechino pronte a commuovere il neofita della
sala, sempre tra le nostre mani, ma tramite una macchina l’albun
elettronico  gira da solo.

Io sono a bocca
aperta, il direttore della biblioteca e’ orgoglioso di mostrarci
un’altra faccia della Nuova Cina. Ma io rimpiango qualcosa della
vecchia, colpa della filologia e della domenica a portaportese.

Il
direttore continua a parlare e io a tradurre, chi mi e’ accanto, il
vero personaggio importante ascolta e so perfettamente che trema, trema
perche’ quello che vede, in Italia non c’e’. E chissa’ se mai ci sara’.

Continuo a tradurre. Un interprete dovrebbe rimanere invisibile, dove fungere da tramite, ma come si fa? The big non comprende dove siamo, non sa dove vorrei arrivare. Oltre alle domande che The big chiede,
gliene faccio anche qualche altra di passaggio. Un po’ senza farmi
accorgere, tra un ascensore e una mano che si sporge per farmi passare.
Indago sullo studio che ha progettato l’architettura del posto, chiedo
dell’altra ala della biblioteca, quella parte in cui mi sono seduta per
parecchi mesi, i libri, come sono catalogati, c’e’ una rete unica che
collega le due strutture, la biblioteca a Beihai e’ attiva, quando e’
stata costruita? Ma quello che piu’ mi preme e’ sapere dove sono tenute
le versioni originali dei libri classici. La summa del pensiero cinese.
Dove sono i manoscritti? Il direttore mi stuzzica affermando c’e’ anche
Matteo Ricci. Gioca un po’ al bastone e la carota (non sa che a Mattteo
Ricci un saluto glielo faccio quasi tutti gli anni). I manoscritti del
connazionale sono off, e’ sabato, non ci sono i responsabili delle
chiavi. Io sbuffo forte dentro di me, sospesa tra il bastone e la
carota. Lui mi guarda e dice "Se aspettamo un po’ dovrebbe arriavare la
signora tal del tali con le chiavi della sala tal del tali che contiene il Si Ku Quan Shu 四库全书 di Qianlong 乾隆. 

Mi
drizzo sulla sedia e sbarro gli occhi. Sto per vedere la summa
enciclopedica di tutta la storia della Cina antica. La biblioteca che
l’imperatore Qianlong fece compilare alla fine del 1700. Gran parte del
pensiero cinese antico e’ racchiuso li’ dentro.

The big,
vede che la sua interprete si agita sulla sedia, si sfrega le mani, e
si insospettisce in effetti presa dall’enfasi, ho smesso di tradurre.
Ops.

Arrivano le chiavi e scendiamo. 

La
sala non e’grande, bianca. Un odore di erbe, invade lo spazio.
Posizionati al centro ed ai lati della sala ci sono delle scaffalature
di legno, cave all’interno per permettere il costante passaggio di
aria, sopra gli scaffali tanti contenitori anch’essi di legno in cui e’
stata riposta tutta la compilazione. 

Il
direttore tira fuori quattro testi. Sono divisi in quattro sezioni, con
colori distinti. Il verde il pensiero confuciano, 经 in quanto nasce
tutto da li’ come il verde della primavera, il rosso 史 e’ la storia, il
grigio e il blu invece sono per tutto quello che esula dal pensiero
confuciano ma che e’ catalogato come filosofia 子 ed infine cio’ che
comprende un’antologia di letteratura cinese 集. 

Sono visibilmente commossa. The big
non comprende. Il drettore continua a mttermi la carota davanti al
volto, indossa i guanti e apre un testo: e’ il Zhouyi 周易. E qui, non
resisto, prendo The big sotto il braccio e provo a cercare di
fagli capire cos’e’ il Zhouyi. Cosa significano quegli strani segni
(come li chiama lui), ed io "sono le immagini delle infinite
trasformazioni dell’universo". 

The big alla fine non e’ poi male, anzi. Un abbraccio al piccolo The big.

 

2012 in Beijing

Tuesday, December 1st, 2009

 

Mi abbuffo di ottimi xiaolongbao in un ristorantino accanto, scendiamo le scale mobili con un peso nel cuore. Io odio i grossi film amercani ma questo mi tocca vederlo, anzi ci tocca vederlo, ho convinto anche lui, piu’ scettico di me, mi accompagna. 

Posti davanti, audio al massimo volume, credo non faccia bene ai neuroni di nessuno. La pubblicita’ iniziale e’ tutta focalizzata sui grossi film cinesi in prssima uscita, aime’ in grande american style, solo che nei loro le arti marziali sono padrone della scena, poco ferro armato, tutti calci volanti e parecchie esplosioni. 

Inizia il filmone dell’anno: 2012

Mi voglio sotterrare tra le poltrone, mi ricordo il piccolo cinema a trastevere dove andavo appena finita scuola alle 15.00, ma il cazzo di rumore assordante mi riporta a Pechino: multisala con luci colorate.

Che dire, posso solo sospirare, in due ore e mezza il nostro pianeta si distrugge. Tsunami, terremoti, innondazioni, la crosta terreste si spacca e tutti fuggono in Cina. O meglio in Tibet, la parte piu’ alta del mondo, l’Himalaya ospita la mega-fabbrica per la costruzione delle arche che mettono in salvo, prima di tutto politici, generali e gente importante, poi in ultimo commossi dalle lacrime di un ingegnere, decidono di aprire le porte alla plebaglia che urla di fuori. Le giraffe e gli elefanti, notare la finezza, vengono prima di un operaio specializzato.

In tutto questo appare la Cina. La rete cinese ci tiene a dire che appare con la sua nuova faccia, sia come costruttori specializzati, che come ospiti della nuova grande famiglia unita che fara’ poi nascere la nuova generazione di esseri umani. Si vedono militari cinesi che non eccellono in umanita’ ma perseguono le loro regole, si vedono tibetani che accolgono i dispersi americani in montagna, ci sono lama che impassibili affrontano l’ultima inondazione. 

La Cina, e’ quello che e’ una grossa fabbrica a cui tutti vogliono giungere. In cui tutti vogliono mettere piede.

(Continuando cosi’ ci si convince davvero che sia solo questo)