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Courtyard Number 7

Tuesday, November 25th, 2008
Sono nel nuovo ufficio, tutta intenta a leggere il
report-prospetto-o-baogao che dir si voglia, sullo sviluppo del
quartiere in cui vivo, con tutte le contraddizioni che ne derivano.
 
Il nuovo xiao laoban 小老板, ce ne sono due di
laoban, lui è il più giovane, mi guarda e mi fa "Dai, accomapagnami,
devo incontrare un giornalista del New York Times che vuole scrivere un
libro sui siheyuan 四合院"
 
Non è che sia prevenuta, o forse un po si ma è
meglio che non lo dico a voce tropo alta, l’ultima volta che ho
incontrato un gionalista che voleva scrivere un libro sugli Hutong,
era francese si presenta in ufficio e tra tutti i discorsi si capisce
che non sapeva neanche cosa fossero questi  benedetti hutong, insomma
non aveva idea di cosa stesse parlando, confondeva parole e concetti.
Una tristezza infinita, finchè il mio xiao laoban, esausto, ma paziente
lo porta nel suo ufficio e gli racconta piano piano la differenza tra
un hutong e un siheyuan. Vabbè.
 
Quindi, curiosa, anche questa volta di ascoltare
le domande degli aitanti giornalisti mi avvio con il piccolo boss e con
una mia collega originaria del Guangxi 广西. 
 
Il tipo si presenta, puntuale con un panino in
bocca. Biondo, occhi azzurri, scarpe da ginnastica, estremamente
giovane. Il mio cervello non fa a meno di ricordarsi la frase dei due
gionalisti-olimpionici, che mi dissero "Sai, i giornalisti italiani li
riconosci perchè sono vecchi, tutte le altre nazioni sono
rapprensentate da ragazzi giovani, noi italiani, no, proprio no!",
comunque torno all’american blondish nel NYTimes, lo guardo, lo scruto
un po’ e contempaoraneamente iniziano le solite 4 chiacchiere formali
ma non troppo, del genere chi sei e che fai.
 
Il piccolo boss ha preso un’appuntamento con il
proprietario e architetto di un siheyuan, restaurato a dovere ed
adibito ad hotel: il  Courtyard 7, 7号院
 
Non è la prima volta che entro in una casa
tradizionale con la corte centrale, mi è capitato di varcare la soglia
di abitazioni ricostruite e di pasteggiare del buon vino nel piccolo
giardino, ma questa volta è diverso: è la prima volta che entro in un
tipico siheyuan, ereditato dall’attuale proprietario da una famiglia di
abbienti militari cinesi, le vestigia dell’antica ricchezza e delle
antiche formalità sono ancora evidenti. La porta di ingresso a Sud-est,
la seconda porta di entrata che si apre solo per occasioni speciali, il
giardino e gli alberi sui 4 lati, con le stanze, adesso comode camere
da letto, i portici che collegano le varie parti della struttura
rettangolare, la zona retrostante, anticamente adibita alle donne della
casa non sposate, insomma un tipico esempio di  abitazione dell’epoca
Ming 明.
 
 
 
Appena entriamo il proprietario ci indirizza in un
sottoscala dove c’è l’impianto di riscaldamento ad acqua e il sitema
fognario a norma di legge, io mi guardo attorno e scorgo lo sguardo
perplesso del giovine del NYtimes, poco prima mi aveva chiesto quali
erano le radici filosofico-spirituali della costruzione in cui eravamo
entrati, io gli avevo solo fatto notare come fosse fondamentale dare
almeno un’occhiata ad un libro di storia della cina antica, vedo di
nuovo lo sguardo del giornalista un po’ confuso dalla praticità
dell’architetto che, fiero, metteva in evidenza la tecnologia
utilizzata all’interno dell’hotel. Io ridacchiavo sotto i baffi.
 
La visita del posto, è stata più o meno un
altalenare tra i bisogni del proprietario, mettere in evidenza come la
tecnologia si può fondere con la struttura tradizionale precedente. Il
riscaldamento, la televisione e la sauna, ma anche i mattoni di epoca
antica, le assi di legno, i letti e i vari mobilia*.
 
Il giovine-giornalista invece cercava in quello
spazio qualcosa che (mi chiedo io) probabilmente manca nel suo luogo di
origine, tradizione, radici filosofiche, cerca qualcosa che mi spaventa
se si dovesse trasformare in bisogno di spiritualità spicciola e newage
evanescente, chiedeva di fengshui 风水.
Guardavo gli occhi del 50enne architetto, preso
dai suoi interruttori e dai suoi impianti di riscaldalmento, la
praticità cinese anche questa mi fa spavento, sembra una "macchina
senza freni" disse qualcuno, può ridurre tutto al più becero profitto,
senza nemmeno farsi un piccolo scrupolo morale.
 
Questi due mondi cercano ripetutamente di
comunicare, non so con quali risultati, davvero non so, dipende tutto
dai bisogni e dalle esigenze degli interlucutori.
Oggi c’è il sole, prospetto che prima o poi si
riusciranno a comprendere. 
 
*Purtroppo ci faceva notare il proprietario, gran parte dell’arredamento
dell’epoca ormai non esiste più, non c’è, è stato o trafugato e portato
a Taiwan, o distrutto in epoca successiva, insomma è raro trovare un
mobile di antiquariato vero, originale. Questo lo dice con amarezza,
abbassando lo sguardo.