E’ arrivato l’otto agosto del duemilaotto. E’ anche
passato da due giorni e io costantemente chiusa nel bunker olimpico
trovo poco tempo per raccontare e descrivere.
Più che un blog di informazione sta diventando memorandum della mia vita olimpica, diversa, assolutamente diversa da prima.
Quindi ecco cosa ho fatto l’8-8-2008:
ore
17.20: Arriva W e dicendo, chi vuole rimenere rimanga pure, ma per
tutti gli altri è meglio sbrigarsi a tornare a casa, altrimenti non ci
sarà più modo di tornare fino alla mezzanotte. Io scettica di mio, su
queste posizioni, mi informo, vado in giro chiedo spiegazioni sui mezzi
di trasporto in funzione durante l’apertura dei giochi e alla fine mi
tranquillizzo, in qualche modo tornerò a casetta.
ore
18.25: comincio a scalpitare il mio orologio vitale mi dice di uscire
sono più di otto ore che sono lì dentro, l’aria di fuori seppur calda
mi chiama, e anche W.T che come stabilito sta a Gulou con altri amici.
Baretto con televisione, qualcosa da bere e lo spettacolo televisivo
dell’anno.
ore 19.00: Il piano di fuga a inizio,
mi accordo con L. che mi segue fuori. Con noi c’è altra gente, ci
incamminiamo verso lo stadio, chissà magari tra la confusione
confondono le lettere e tutti gli sticker dei pass e ci fanno passare,
almeno per essere un po’ più vicini. Accanto al primo controllo ci sono
macchine di indubbia provenienza americana, macchinoni con targa
cinese, ma con la calssica aria da film, quelli che appena li becchi in
televisione cambi subito. Bhe, davanti a noi la macchinona di Bush con
militari, servizi segreti, esercito, tutta l’austerità del potere
davanti a me. Il controllo ci fa tornare indietro.
ore
19.10: Appena usciamo dal villaggio olimpico trovo subito un taxi (culo
infinito), ci dirigiamo verso Gulou, mentre L. mi continua a chiedere
della Cina, della lingua cinese e io stanca affamata non mi stanco nel
rispondere. Le strade sono vuote, polizia ovunque, bandierine colorate
sventolano, mentre quelle sulle macchine sono rosse. Pechino sembra si
sia preparata a dovere, zhongnanhai ne sarà contento.
ore
19.30: Scendiamo dal taxi, prima dela piazza ristorantino, afferro una
manciata di Maodou (soia pelosa) sul tavolo, saluto i presenti che ci
accolgono a birrette alzate, sete di te freddo. Arrosticini di agnello
e via per il baretto.
ore 19.50: Ci avviamo verso
la piazza, ancora gente in giro, oggi è festa a Pechino, pochi i
ristoranti aperti, ma la gente è ovunque, mi faccio prendere dalla
fantasia di far scoparire tutti e di essere sola, cosa impossibile in
Cina.
ore 20.10: Arriviamo nel bar, c’è gente ma
mi riesco a sedere accanto a L. sotto il televisore, collo alzato, e le
immagini già scorrono sullo schermo. I cinesi sono incredbili per la
loro compattezza nell’essere insieme. Coordinazione nei movimenti di
più di mille persone che fanno evoluzioni da far ammutolire anche il
più bravo giocatore di domino. Tute bianche che cambiano colore, uomini
che si muovono e che sembrano una sola cosa, l’essere uno insieme ad
altri forma figure, tondi, cerchi, uccelli di varie dimensioni, ali che
si muovono. mi faccio prendere dai colori, il blu per ora fa da
padrone. Mentre ci sono bimbetti che colorano con le certelle sulle
spalle, ombrelli dalla faccia di bimbo del mondo interno, e
tutt’attorno ancora coreografia. L. intanto mi parla delle tecnologie
usate, sembrano essere le più nuove ele più costose, intanto davanti a
me, una palla gigante esce dal pavimentazione e uomini che la
circumnavigano camimnandoci sopra, mi immagino Zhang Yimou che sorride
in regia. L. continua a parlare della differenza della regia nel cinema
e nella televisione, mi fa notare le inquadrature a volte troppo
strette per uno spettacolo del genere, apprezzo il commento tecnico.
Cominciano a sparare alcuni fuochi di artificio. ce li godiamo seduti,
ma poco dopo ci guardiamo e decidiamo di tronare allo stadio, tanto per
essere sicuri di poterci godere dal vivo quelli che verranno.
ore
21.40: Usciamo dalla piazzetta e anche stavolta il taxi, questa volta
davvero quello giusto, uno dei pochi taxi con il pass olimpico,
guadagnato dal tassita grazie alla sua diligenza sul lavoro. Ne va
fiero, io anche. Poi mi guardo nella borsa, tutti e tre con i nostri
bei pass gialli, fieri e un po’ imbarazzati, i blocchi delle strade si
aprono e in pochissimo arriviamo fino al limite del water cube. Più
avanti non si può, o hai avuto culo per avere il biglietto di ingresso*,
o hai speso 500 euro minimo.
ore 22.00: Che
facciamo? In mezzo al marciapiede, accanto a noi un militare con la
ricetrasmittente sempre in funzione, noi seduti sui un gradino, al lato
sinistro il palazzone bianco, che proittava fari luminosi
lontanissimi, sopra di noi 2 elicotteri non smettono di volare e
spostare l’aria afosa. Mi sdraio addirittura in attesa, le chiacchiere
si perdono tra la mia vita e la sua. Io la Cina e miei viaggi
precedenti, commenti sul paese, lui, licenziatosi dalla Germania vive
in Italia, nell’azienda mamma delle mamme. Di nuovo stanchezza ma
continuo a chiacchierare liberamente senza chiedere troppo di
specifico, ci perdiamo tra questo e quello. The eternal sunshine of the
spotless mind, concordiamo sul disgusto del nome italiano. Il tempo
passa, un accenno di fuochi. Mi vene il dubbio che non ci siano più
fuochi, cazzo sono due ore che siamo seduti e ancora nulla di che.
Mentre so che all’interno dello stadio il burattinaio sta muovendo
magicamente i fili di tutto quanto.
ore 23.59: Scommettiamo che non fanno i fuoochi, dico io. L. mi stringe forte la mano, scommettiamo una cena giapponese.
ore 24.02: Perdo la scommessa, i fuochi hanno inizio. 15 minuti di colori nel cielo di Pechino.
Per chi vuole vedere le immagini, perfavore guardate the bigpictures. Sito geniale comunque.
* Feili ha avuto culo