观音山 – Buddha Mountain

Una cosa che mi manca dell’Europa è il cinema, quelli minuscoli con poche sedie e chissenefrega dell’audio e che non ci sono pop corn o sedie comode. Ogni volta che torno in Italia mi godo il doppiaggio all’italiana e lo maledico subito dopo, la vasta programmazione invece mi solletica: c’e’ scelta.

Qui a Pechino, la scelta è davvero misera, o il filmone americano del tipo Teminator o filmone cinese tipo l’ennesima sfida durante l’ennesima dinastia. Quindi, quando esce un film diverso, corro al cinema, questa volta sono andata con un mio amico, uno del mestiere, uno di quelli che mentre tu ti godi la storia, lui guarda i movimenti di camera, carrellate, camera fissa, scelta degli attori, ritmo delle scene, più un chirurgo cinematografico che uno spettatore. Ma alla fine la deformazione professionale è insita in chi tiene a ciò che fa, per tutti.

Il film è Guanyin Shan. Due ore. Le ho sentite, ma nel compenso mi è piaciuto, a differenza del chirurgo, mi è piaciuto per notivi a cui lui non ha fatto neanche caso. E’ uno dei pochi film cinesi che ho visto in cui sono esplicitate le emozioni, le difficoltà di relazione tra padri, figli, madri e figlie, la disperazione per la morte. Gioie e sentimenti vengono fuori, emergono e coinvolgono. Spesso nei film cinesi, tutta questa parte intima rimane inesplorata, o forse solo trattenuta, esiste, c’è, ma si intende solo una  sottile tensione, che non sfocia, che  non dialoga. Per questo spesso incantano, nel non detto, nelle tempistiche lente che portano all’estrema sopportazione lo spettatore. Guanyin shan invece vive di emozioni espresse e urlate. Urla nei tunnel e nei treni, sfoghi in ospedale di fronte a padri alcolizzati, nelle risate che si fanno con gli amici che ti conoscono da una vita, cose in fondo molto comuni, ma che qui spesso rimangono immerse in un involucro semioscuro, che tristemente affascina.

Il film finisce i titoli di coda scorrono, li guardiamo fino alla fine, i chirurghi di tutto il mondo fanno così. Guardo Y.H e dico: Lungo ma bello, no? Lui, mi guarda e mi dice: Ma ti pare che in film ambientato nel Sichuan fa parlare gli attori di Taiwan senza doppiarli neanche? (In effetti ‘ come se in un film ambientato nell’Ogliastra ci sono i protagonisti, che parlano in bergamasco). Questa gliela faccio passare, ma quando comincia con le solite storie di camera e carrellate, lo guardo sorrido e mi accendo una sigaretta, canticchiando il motivo del film, con la testa appoggiata al vetro della macchina che mi accompagna a casa.

 

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