Fare l’interprete non fa solamente indossare giacca
e cravatta e tradurre il pensiero altrui alla controparte, porta sul
palco, fa prendere un microfono in mano mentre deglutisci in fretta.
Oppure puo’ far calpestare il prato di un campo da calcio e trovarsi
dietro la porta mentre la squadra avversaria segna un goal.
La scorsa settimana questo lavoro, un po’ fatto di travestimenti e svestimenti, ha aperto le porte della biblioteca.
La
biblioteca e’ la biblioteca nazionale cinese, dove sono stati
accumulati, catalogati e deposti sugli scaffali milioni e milioni di
libri. La parte piu’ nuova e’ stata finita di costruire l’anno scorso,
sembra un’astronave. Spaziosa all’interno invita proprio a sedersi,
alzare lo sguardo per poi immergersi in qualunque cosa sia fatta di
carta. Spaziosa e’ dir poco, e’ poco convenzionale e immensa, spazi
futuristici allungati ed allargati, il tetto pesantissimo si posa sopra
la testa dei lettori senza che nessuno se ne accorga, il legno delle
sale invoca il silenzio.
Legno ed acciaio si
incrociano, per chi cerca entrambi e’ il posto ideale. La tecnologia e’
alla portata di tutti, computer di nuova generazione fanno sfogliare
gratis piu’ di 200 quotidiani inseriti giornalmente. Ci sono database
con vecchie fotografie di Pechino pronte a commuovere il neofita della
sala, sempre tra le nostre mani, ma tramite una macchina l’albun
elettronico gira da solo.
Io sono a bocca
aperta, il direttore della biblioteca e’ orgoglioso di mostrarci
un’altra faccia della Nuova Cina. Ma io rimpiango qualcosa della
vecchia, colpa della filologia e della domenica a portaportese.
Il
direttore continua a parlare e io a tradurre, chi mi e’ accanto, il
vero personaggio importante ascolta e so perfettamente che trema, trema
perche’ quello che vede, in Italia non c’e’. E chissa’ se mai ci sara’.
Continuo a tradurre. Un interprete dovrebbe rimanere invisibile, dove fungere da tramite, ma come si fa? The big non comprende dove siamo, non sa dove vorrei arrivare. Oltre alle domande che The big chiede,
gliene faccio anche qualche altra di passaggio. Un po’ senza farmi
accorgere, tra un ascensore e una mano che si sporge per farmi passare.
Indago sullo studio che ha progettato l’architettura del posto, chiedo
dell’altra ala della biblioteca, quella parte in cui mi sono seduta per
parecchi mesi, i libri, come sono catalogati, c’e’ una rete unica che
collega le due strutture, la biblioteca a Beihai e’ attiva, quando e’
stata costruita? Ma quello che piu’ mi preme e’ sapere dove sono tenute
le versioni originali dei libri classici. La summa del pensiero cinese.
Dove sono i manoscritti? Il direttore mi stuzzica affermando c’e’ anche
Matteo Ricci. Gioca un po’ al bastone e la carota (non sa che a Mattteo
Ricci un saluto glielo faccio quasi tutti gli anni). I manoscritti del
connazionale sono off, e’ sabato, non ci sono i responsabili delle
chiavi. Io sbuffo forte dentro di me, sospesa tra il bastone e la
carota. Lui mi guarda e dice "Se aspettamo un po’ dovrebbe arriavare la
signora tal del tali con le chiavi della sala tal del tali che contiene il Si Ku Quan Shu 四库全书 di Qianlong 乾隆.
Mi
drizzo sulla sedia e sbarro gli occhi. Sto per vedere la summa
enciclopedica di tutta la storia della Cina antica. La biblioteca che
l’imperatore Qianlong fece compilare alla fine del 1700. Gran parte del
pensiero cinese antico e’ racchiuso li’ dentro.
The big,
vede che la sua interprete si agita sulla sedia, si sfrega le mani, e
si insospettisce in effetti presa dall’enfasi, ho smesso di tradurre.
Ops.
Arrivano le chiavi e scendiamo.
La
sala non e’grande, bianca. Un odore di erbe, invade lo spazio.
Posizionati al centro ed ai lati della sala ci sono delle scaffalature
di legno, cave all’interno per permettere il costante passaggio di
aria, sopra gli scaffali tanti contenitori anch’essi di legno in cui e’
stata riposta tutta la compilazione.
Il
direttore tira fuori quattro testi. Sono divisi in quattro sezioni, con
colori distinti. Il verde il pensiero confuciano, 经 in quanto nasce
tutto da li’ come il verde della primavera, il rosso 史 e’ la storia, il
grigio e il blu invece sono per tutto quello che esula dal pensiero
confuciano ma che e’ catalogato come filosofia 子 ed infine cio’ che
comprende un’antologia di letteratura cinese 集.
Sono visibilmente commossa. The big
non comprende. Il drettore continua a mttermi la carota davanti al
volto, indossa i guanti e apre un testo: e’ il Zhouyi 周易. E qui, non
resisto, prendo The big sotto il braccio e provo a cercare di
fagli capire cos’e’ il Zhouyi. Cosa significano quegli strani segni
(come li chiama lui), ed io "sono le immagini delle infinite
trasformazioni dell’universo".
The big alla fine non e’ poi male, anzi. Un abbraccio al piccolo The big.