Archive for December, 2009

Parole sante

Thursday, December 31st, 2009

 

Non c’è consorzio economico, fabbrica automobilistica o industria petrolifera che rendano quanto il commercio dell’informazione. E’ il business più redditizio in assoluto. Che cosa ne consegue? Che mentre, un tempo, a capo dei giornali, delle emittenti televisive o radiofoniche c’erano dei redattori  pieni di passione che combattevano per qualcosa, oggi non ci sono che uomini d’affari. Persone che non hanno, nè vogliono avere, niente a che fare con il giornalismo. Dalle mani di persone che lottano per la verità, l’informazione è passata in quelle di uomini d’affari preoccupati non che l’informazione sia vera, importante e di valore, ma che sia attraente. Oggi, per potersi vendere bene, l’informazione deve essere un prodotto in una confezione di lusso. Il passaggio dal criterio della verità a quello dell’attrattiva rappresenta la grande rivoluzione culturale di cui tutti noi siamo testimoni, i partecipanti e in parte, le vittime. Il caporedattore non chiede se una cosa sia vera, ma se sia vendibile e procuri la pubblicità che gli dà da vivere. I grandi media spostano la nostra attenzione dalle cose importanti ai problemi tecnici: chi lo fa prima, chi ci mette più colore, chi lo fa in diretta, chi in virtuale, chi ha la connessione satellitare, la diretta, la ritrasmissione? In sostanza: chi lascia allo spettatore meno tempo per riflettere?

Autoritratto di un reporter, Ryszard Kapuscinski

 

Adesso: la mia terra

Sunday, December 27th, 2009

 

Niente di meglio di assorbire la vecchia umidità e le nuove rughe di chi mi circonda. Mentre la voce corre e mi fa immaginare capelli e statuine colmi di superstizione o forse verità. Tutto ha un sapore di sentito in quanto alcune cose si sfiorano appena.

Le vecchiette che ti vengono in soccorso come i cani lupi la notte. Magari sono la stessa cosa.

CContinua a piovere, la biglietteria è rotta, mi dicono di andare dal capotreno. Salgo sul treno, cerco un posto, è tutto sporco, cerco un bagno anche questo è rotto, cerco un responsabile che si dilegua dicendomi che dopo arriverà, non pago il biglietto, non per mio volere. Mi immergo nel libro, strizzo gli occhi all’astio che trasmettono le pagine.Voglio andare in Polonia.

Quì si vive il passato. (I fantasmi, i mostri marini, come direbbe qualcuno, sono buoni e cattivi, dipende tutto da noi.) Qui, qui non c’è futuro. Lo schermo  si adegua al digitale, finta tecnologia, ci costringe ad ascoltare voci del passato e vedere rughe nel presente. Capelli bianchi per chi sa osare, il resto si affida al cortisone e al botulino. 

Impareggiabile la varietà che resiste, San Clemente ne è l’esempio.  Quel passato rigoglioso di scultori e mecenati, di vitalità e  di marmi sfregati a lucido. La gente si improvvisava, vendeva, rubava era indaffarata nel sopravvivere tra le guerre e i padroni. La chiesa, la casa, le madonnine. Questo è il paese da dove vengo. Era un paese vivo.

Passato solo passato, solo ancoramento alla tradizione, fosse vera carità cristiana. Gran parte delle persone mi sembrano anziane, la maggior parte lo sono. Sono i cappotti e gli ombrelli, l’attenzione alla formalità di chi è usuale alle comodità. Dove i gesti si ripetono perchè si sono fatti il giorno prima e non c’è bisogno di cambiarli. Perchè si dovrebbe. 

Ora c’è qualcosa che stona, non si può sopravvivere di passato, non c’è rigenerazione. Ci sono pellicce vecchie e vecchie borsette. Parole sentite e riascoltate, ma come si fa a vivere solo di ieri? Se fosse un lento spegnimento? Senza un grido.

Ma perchè nessuno grida?

 

Il grido.

Saturday, December 26th, 2009

 

Don’t make me walk my own log

i sent my goodbyes
i’m closing my eyes
these good things don’t stay
it’s time she’s going
she’s going away
keep your hands away
we were fine before you came
have your bones begun to ache
you’re running out of time
messing with my turf
this time you’ve gone too far
no more gentle touch
she’s blind to her bad luck
sleep with me tonight
one last time’s all right
cause good things don’t stay
it’s time
she’s going away
away
away
away
away

The van pelt

 

Tra il bastone e la carota: la biblioteca.

Sunday, December 13th, 2009

 

Fare l’interprete non fa solamente indossare giacca
e cravatta e tradurre il pensiero altrui alla controparte, porta sul
palco, fa prendere un microfono in mano mentre deglutisci in fretta.
Oppure puo’ far calpestare il prato di un campo da calcio e trovarsi
dietro la porta mentre la squadra avversaria segna un goal.

La scorsa settimana questo lavoro, un po’ fatto di travestimenti e svestimenti, ha aperto le porte della biblioteca.

La
biblioteca e’ la biblioteca nazionale cinese, dove sono stati
accumulati, catalogati e deposti sugli scaffali milioni e milioni di
libri. La parte piu’ nuova e’ stata finita di costruire l’anno scorso,
sembra un’astronave. Spaziosa all’interno invita proprio a sedersi,
alzare lo sguardo per poi immergersi in qualunque cosa sia fatta di
carta. Spaziosa e’ dir poco, e’ poco convenzionale e immensa, spazi
futuristici allungati ed allargati, il tetto pesantissimo si posa sopra
la testa dei lettori senza che nessuno se ne accorga, il legno delle
sale invoca il silenzio.

Legno ed acciaio si
incrociano, per chi cerca entrambi e’ il posto ideale. La tecnologia e’
alla portata di tutti, computer di nuova generazione fanno sfogliare
gratis piu’ di 200 quotidiani inseriti giornalmente. Ci sono database
con vecchie fotografie di Pechino pronte a commuovere il neofita della
sala, sempre tra le nostre mani, ma tramite una macchina l’albun
elettronico  gira da solo.

Io sono a bocca
aperta, il direttore della biblioteca e’ orgoglioso di mostrarci
un’altra faccia della Nuova Cina. Ma io rimpiango qualcosa della
vecchia, colpa della filologia e della domenica a portaportese.

Il
direttore continua a parlare e io a tradurre, chi mi e’ accanto, il
vero personaggio importante ascolta e so perfettamente che trema, trema
perche’ quello che vede, in Italia non c’e’. E chissa’ se mai ci sara’.

Continuo a tradurre. Un interprete dovrebbe rimanere invisibile, dove fungere da tramite, ma come si fa? The big non comprende dove siamo, non sa dove vorrei arrivare. Oltre alle domande che The big chiede,
gliene faccio anche qualche altra di passaggio. Un po’ senza farmi
accorgere, tra un ascensore e una mano che si sporge per farmi passare.
Indago sullo studio che ha progettato l’architettura del posto, chiedo
dell’altra ala della biblioteca, quella parte in cui mi sono seduta per
parecchi mesi, i libri, come sono catalogati, c’e’ una rete unica che
collega le due strutture, la biblioteca a Beihai e’ attiva, quando e’
stata costruita? Ma quello che piu’ mi preme e’ sapere dove sono tenute
le versioni originali dei libri classici. La summa del pensiero cinese.
Dove sono i manoscritti? Il direttore mi stuzzica affermando c’e’ anche
Matteo Ricci. Gioca un po’ al bastone e la carota (non sa che a Mattteo
Ricci un saluto glielo faccio quasi tutti gli anni). I manoscritti del
connazionale sono off, e’ sabato, non ci sono i responsabili delle
chiavi. Io sbuffo forte dentro di me, sospesa tra il bastone e la
carota. Lui mi guarda e dice "Se aspettamo un po’ dovrebbe arriavare la
signora tal del tali con le chiavi della sala tal del tali che contiene il Si Ku Quan Shu 四库全书 di Qianlong 乾隆. 

Mi
drizzo sulla sedia e sbarro gli occhi. Sto per vedere la summa
enciclopedica di tutta la storia della Cina antica. La biblioteca che
l’imperatore Qianlong fece compilare alla fine del 1700. Gran parte del
pensiero cinese antico e’ racchiuso li’ dentro.

The big,
vede che la sua interprete si agita sulla sedia, si sfrega le mani, e
si insospettisce in effetti presa dall’enfasi, ho smesso di tradurre.
Ops.

Arrivano le chiavi e scendiamo. 

La
sala non e’grande, bianca. Un odore di erbe, invade lo spazio.
Posizionati al centro ed ai lati della sala ci sono delle scaffalature
di legno, cave all’interno per permettere il costante passaggio di
aria, sopra gli scaffali tanti contenitori anch’essi di legno in cui e’
stata riposta tutta la compilazione. 

Il
direttore tira fuori quattro testi. Sono divisi in quattro sezioni, con
colori distinti. Il verde il pensiero confuciano, 经 in quanto nasce
tutto da li’ come il verde della primavera, il rosso 史 e’ la storia, il
grigio e il blu invece sono per tutto quello che esula dal pensiero
confuciano ma che e’ catalogato come filosofia 子 ed infine cio’ che
comprende un’antologia di letteratura cinese 集. 

Sono visibilmente commossa. The big
non comprende. Il drettore continua a mttermi la carota davanti al
volto, indossa i guanti e apre un testo: e’ il Zhouyi 周易. E qui, non
resisto, prendo The big sotto il braccio e provo a cercare di
fagli capire cos’e’ il Zhouyi. Cosa significano quegli strani segni
(come li chiama lui), ed io "sono le immagini delle infinite
trasformazioni dell’universo". 

The big alla fine non e’ poi male, anzi. Un abbraccio al piccolo The big.

 

Crazy Hanzi 汉字

Friday, December 11th, 2009

 

Da Xiao Liu, non posso che girarlo a tutti, sinologi, pseudo sinologi e non.

Divertitevi ed azzeccare il significato. 

                                                    CRAZY 汉字

 

Fa anche bene ricordarsi che la lingua e’ viva 🙂

 

 

 

 

                                      

2012 in Beijing

Tuesday, December 1st, 2009

 

Mi abbuffo di ottimi xiaolongbao in un ristorantino accanto, scendiamo le scale mobili con un peso nel cuore. Io odio i grossi film amercani ma questo mi tocca vederlo, anzi ci tocca vederlo, ho convinto anche lui, piu’ scettico di me, mi accompagna. 

Posti davanti, audio al massimo volume, credo non faccia bene ai neuroni di nessuno. La pubblicita’ iniziale e’ tutta focalizzata sui grossi film cinesi in prssima uscita, aime’ in grande american style, solo che nei loro le arti marziali sono padrone della scena, poco ferro armato, tutti calci volanti e parecchie esplosioni. 

Inizia il filmone dell’anno: 2012

Mi voglio sotterrare tra le poltrone, mi ricordo il piccolo cinema a trastevere dove andavo appena finita scuola alle 15.00, ma il cazzo di rumore assordante mi riporta a Pechino: multisala con luci colorate.

Che dire, posso solo sospirare, in due ore e mezza il nostro pianeta si distrugge. Tsunami, terremoti, innondazioni, la crosta terreste si spacca e tutti fuggono in Cina. O meglio in Tibet, la parte piu’ alta del mondo, l’Himalaya ospita la mega-fabbrica per la costruzione delle arche che mettono in salvo, prima di tutto politici, generali e gente importante, poi in ultimo commossi dalle lacrime di un ingegnere, decidono di aprire le porte alla plebaglia che urla di fuori. Le giraffe e gli elefanti, notare la finezza, vengono prima di un operaio specializzato.

In tutto questo appare la Cina. La rete cinese ci tiene a dire che appare con la sua nuova faccia, sia come costruttori specializzati, che come ospiti della nuova grande famiglia unita che fara’ poi nascere la nuova generazione di esseri umani. Si vedono militari cinesi che non eccellono in umanita’ ma perseguono le loro regole, si vedono tibetani che accolgono i dispersi americani in montagna, ci sono lama che impassibili affrontano l’ultima inondazione. 

La Cina, e’ quello che e’ una grossa fabbrica a cui tutti vogliono giungere. In cui tutti vogliono mettere piede.

(Continuando cosi’ ci si convince davvero che sia solo questo)