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Candele a Gulou

Thursday, May 22nd, 2008

A Pechino quello che mancano sono le piazze, luoghi in cui fermarsi dove non si procede piu’ in bicicletta, ma si sta, si ozia e si fuma una o piu’ sigarette. Luoghi tondi con fontane annesse, spazi con gradinate, gran parte dell’europa rinascimentale e’ racchiusa nelle piazze e nelle piazzette. 

In Cina, no, in Cina non ci sono piazze, ci sono rotonde constriute da pochi anni, a Pechino c’e’ Tiananmen, che sebbene sia considerata la piazza d’eccellenza, dalle sensazioni che mi provoca mentre ci passo, e’ difficile per me considerarla una piazza vera e propria, troppo grande e dispersiva, e poi non ci si "sta" a piazza Tiananmen…

C’e’ una piccola eccezione che conferma la regola a Pechino, tra le due torri del tambuto e della campana, 鼓楼 c’e’ una piccola piazzetta, un piccolo spazio dove le persone del quartiere si riuniscono, dove i bimbetti giocano con voci acutissime, dove i ragazzi si siedono per terra e bevono birra, dove finalmente si  STA e ci si incontra. Quindi a tutti gli appuntamenti a gulou sono felice di andare, per sedermi sul gradino, per chiacchiere in liberta’. Di sera, forse, ha ancora un fascino maggiore, di giorno i turisti la popolano e i riscio’ del 2008 che portano a spasso i biondi americani sono tanti e troppo rumorosi, i pulmann la occupano, quindi il momento migliore per affacciarsi e’ sicuramente la sera: 

Ieri sera, cena con un’amica li’ nei dintorni e poi eccomi con 4 amici sul gradino a parlare.

Yangque e’ appena tornata da Chengdu 成都 con un peso dentro infinito, notte insonni in albergo al 15esimo piano con ancora le scosse di assestamento che non la lasciavano un minuto libera. Lei comincia a raccontare noi tre a guardarla senza aprire troppo bocca, semza riuscire a sentire profondamente quello che lei ha visto. Penso che alcune cose si’, si possono empatizzare, ma vedere con i propri occhi macerie, soccorsi, strade distrutte persone senza casa, pianti a dirotto senza riuscire a fare neanche una foto, perche’ non e’ il momento, e’ quache altra cosa. Vedere con i propri occhi e’ diverso. Ci vuole davvero coragggio per fotografare la distruzione, ci vuole freddezza per fermare in un’immagine un turbine di sensazioni di profonda tristezza. Quindi sentire dalla sua voce i racconti ci ha fatto ammutolire. Brividi nel nominare i bambini morti sotto le macerie, brividi nel nomirare quell’uomo a cui la telecamera ha tenuto l’obbiettivo puntato per riuscire a riprendere il savataggio, invece si e’ trasformato in una morte in diretta, l’obbiettivo ha filmato la morte di un uomo. Racconti che non si riuscivano a fermare, lei con il suo bisogno di sfogarsi, noi con sguardi bassi ascoltavamo.

Ad un certo momento nel lato piu’ lontano da noi della piazza, un gruppo di persone cominciano ad accendere molte candele, le dispongono e chiudono gli occhi, mani sul cuore, ancora il pensiero di tutti noi va a tutti gli uomini, donne e bambini morti nel terremoto.