st1:*{behavior:url(#ieooui) }
/* Style Definitions */
table.MsoNormalTable
{mso-style-name:普通表格;
mso-tstyle-rowband-size:0;
mso-tstyle-colband-size:0;
mso-style-noshow:yes;
mso-style-parent:””;
mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt;
mso-para-margin:0cm;
mso-para-margin-bottom:.0001pt;
mso-pagination:widow-orphan;
font-size:10.0pt;
font-family:”Times New Roman”;
mso-fareast-font-family:”Times New Roman”;
mso-ansi-language:#0400;
mso-fareast-language:#0400;
mso-bidi-language:#0400;}
In Cina, come ovunque al mondo
si fanno le marchette. Dipende da ognuno. Ognuno ha un proprio limite di
sopportazione, ognuno ha un modo, un principio, che ci aiuta a contraddistinguere
cosa e’ dignitoso e cosa non lo è, il bello
e’ che siamo liberi di superalo a nostro piacere o spiacere, a volte scherzando
su noi stessi, a volte sulla situazione in ci ritroviamo dentro.
La mia marchetta e’ fare lo
straniero da circo per i cinesi. Cosa che odio, ma a volte per sopravvivere si
fa.
Ricevo una telefonata da un amico,
sa che ho bisogno di money e mi propone due giorni in una citta’ fuori Pechino
per rappresentare l’azienda taldetali che promuove il prodotto taldetali, di
cui gli stranieri vanno ghiotti. Quindi il lavoro, questa volta
non consiste neanche in un divertente interpretariato, ma stare li’ nel luogo
taldetali accanto al prodotto e sperare che finisca tutto molto presto.
Invece, no.
I compagni cinesi di avventura
la serata prima si sono ubriacati a grappa cinese, chi vomita di qua, chi fa
brindisi a ripetizione, sottolineando l’amicizia che li stringe, chi ordina
birra dopo la grappa che non puo’ che provocare un collasso generale, chi mi piomba
nella stanza, in preda ad uno sfogo o in preda a voglie alcoliche. Fortuna non
e’ tardi, sono appena le 23.00, mi posso fare una doccia, dopo aver allontanato
il cinesotto steso sul mio letto, e dormire, mi aspetta una giornata di duro
lavoro.
La sveglia alle 8.00,
l’appuntamento per l’apertura di X e’ alle 9.38 mi dicono, alle nove e trentotto, gia’ ridacchio,
tipicamente cinese, 9, 3, 8 sono i numeri piu’ fortunati. La sequenza ordinata
in questa maniera potrebbe essere un quiz. Fatto sta che sono, infreddolita e
assonnata, ben vestita, tacchi e quant’altro davanti al posto X con davanti a
me un palco rosso, con sotto un bel po’ di gente, tra cui macchine
fotografiche e telecamere.
Mmmm, penso. Mmmm, la vera
marchetta, il laowai scimmia sta per entrare in azione.
In teoria invece di
intrattenere il pubblico con un discorso sul prodotto X e’ tutto fatto
esclusivamente per l’apparenza, per la faccia, tanto cara ai cinesi. Mi dicono
di seguire delle persone, che piano piano arrivano sul palco rosso, tra cui
io. Due di loro parlano al microfono si presentano: il sindaco e una
imprenditrice. Io l’ultima della fila, il discorso per fortuna dura 10 minuti, batto le mani che poi ripongo in tasca senza fretta. C’e’ il taglio del
nastro, tutti abbiamo delle forbici in mano forniteci da signorine che come me
si intendono di marchette. Afferro le forbici e comincio a tagliare, tutto
velocemente, il nastro e’ spesso non riesco a tagliarlo di netto,
l’imprenditrice con faccia da bulldog mi guarda con ansia, mi da una gomitata
veloce che vuol dire: "Pivella, levati un po’..ci penso io.." Io la
guardo, imprevisti circensi, dovremmo esserne tutti abituati. Quindi le affido
le forbicione e lei veloce zac, il nastro finalmente si divide.
A questo punto, musica per le
nostre orecchie, fuochi d’artificio, botti di capodanno e applausi del
pubblico. Scendo dal palco, parte del gioco e’ finita, sospiro e mi
guardo attorno, ho freddo ma sono abbastanza impotente su quello che mi succede
attorno. Ritorno all’interno e mi affido al ciccio del gruppo, che mi procura
acqua calda e cibo per la straniera-scimmia affaticata.
Decidiamo di tornare in albergo
per la seconda parte della marchetta. Il discorso l’ho evitato ma non mi posso
sottrarre al pranzo commune con sindaco, sottosegretario, imprenditrice e altri
soggetti non ben identificati.
L’albergo mi offre un caffe’
acquoso e non troppo caldo, accavallo le gambe e penso ad un viaggio, andare
nel Qinghai-Gansu-Ningxia, altro che trovarmi qui, penso ai pulmann mezzi
rotti e alla puzza dei piedi della gente che mi circonda, le distese di cielo e
prato come nelle foto di T. Faro’ anche questo prima o poi.
Ora invece e’ arrivato il
momento del gioco delle parti, io: intenditrice del prodotto X a pranzo con il
sindaco della citta’ Y.
Il tavolo e’ ampio e rotondo,
mi siedo e il nonsochi’ di torno imita il mio accento straniero, rispondo al saluto con un semplice “Buongiorno…” e lui esclama “Parla molto bene cinese…” Io. L’ho
gia’ cominciato ad odiare. Il pranzo comincia, I bicchieri di vino bianco e
rosso si alternano al cognac, al ghiaccio, senza freni ne’ regole, che mi viene
versato piano piano da diligenti cameriere, all’ordine per gli ospiti. Nessuno
pensa a mangiare, tutti attirano l’attenzione del sindaco, del sottosegretario
per assicurarsi collaborazione future, lecchini allo stato brado. Ognuno oggi
fa la propria marchetta, l’imprenditrice va alla grande, non si nasconde dietro
a nulla, rubiconda e volgarotta propone collaborazioni a lunga scadenza,
propone regali e vantaggi. Il vino confuso con il cognac la rende sempre piu’
disinvolta, anche troppo, mi innervosiscono le donne cosi’. I partecipanti al
banchetto, compresa me, ogni tanto con bastoncini o forchetta e coltello in
mano, tagliano e mettono in bocca del cibo, che e’ l’ultimo di importanza,
sebbene ruotino attorno a noi, tante pietanze, di varie forme dimensioni e
colori. Le sigarette si sprecano.
Mi siedo per l’ennesimo
brindisi, sono stanca, dovrei e vorrei andare via, ma mi accorgo di essere
improvvisamente a teatro, ognuno recita, tutti per il proprio mero fine, soldi,
contratti firmati, collaborazioni, spintarelle, raccomandazioni, ognuno gioca
il proprio ruolo, sembriamo compatti nel mantenerlo, ognuno incoraggia l’altro
con brindisi e false parole, con complimenti idioti e false promesse di tenersi
in contatto. Appoggio nuovamente il gioco, finche’ ognuno ha la propria parte e
la recita a dovere, finche’, ad un certo punto, mi accorgo che il copione non è stato rispettato.
L’imprenditrice rossa in volto,
con il calice colmo di cognac e vino, si accende una sigaretta, passa dietro la
mia sedia, volgare e altezzosa sposta la sedia centrale, prende per i manici la poltrona del sindaco che
ignaro si e’ appena congedato, lei con occhio esperto, guarda i presenti , sputa il fumo dalla bocca e
dice: “Allora, dove eravamo rimasti?”.