Quasi, neon.
E’ da due mesi che le luci al neon mi infastidiscono, non entro nei ventiquattrore, supermercati, seveeleven senza corrugare sopracciglia e fronte. Alla fine mi abituo, con amarezza ci si abiuta a quasi tutto. I bancomat notturni, ugualmente li tengo alla larga il più possibile, ma quella sera, nel portafoglio non avevo neanche una banconota, ed ero stanca, cercavo un taxi. Anzi prima cercavo dei soldi, mi sembra di ricordare. Entro, scontrosa nei confronti dell’algida luce metallica. Arriccio il naso e cammino a testa bassa, una persona accanto a me, la sua immagine si riflette nel lucido pavimento che non fa che aumentare la mia stizza nei confronti dell’artificio in senso lato, emotivamente e praticamente. Mi accosto alla macchina sputasoldi a sinistra, la persona di destra se ne va. Sono sola. Cerco il bancomat e mi accorgo che poggiata lì, accanto alla bocca della sputasoldi, c’è una curioso sacchetto, stretto da un laccio blu scuro. Piano piano sciolgo il nodo e la curiosità apre la strada alla fantasia. Dentro banconote tailandesi, quelle violacee dai tratti bluastri, con il re di turno occhialuto, le riconosco con un balzo indietro nel tempo di dodici anni. Sono tante e nuove. Il sacchetto stretto si allarga sempre di più, il tempo si perde in quello che c’è al suo interno e lascia che lo stupore infantile veda, quello che c’è davvero. Una lunga collana fatta di conchiglie piccole piccole, ninete a che vedere con il kitsch da bigiotteria di primo livello. Tutto era perfettamente calibrato e di una finezza magistrale, saranno state sicuramente piccole mani e comporla. Minuscoli frammenti attorno a quello che avrebbe dovuto essere il perno tubolare di cui non si individua più l’esistenza. La forma è ricreata nuovamente. Argento. Sembra che non possa finire: il sacchetto si apre gentilmente, lasciando entrare la mano. Il vuoto si riempie di un ciondolo, una farfalla dalle ali allungate, stizzose nella loro femminilità, dal colore stridulo e immateriale nella sua consistenza, come quei rari tesori che popolano le menti dei bambini. Lo prendo in mano delicatamente e osservo gli intrecci di oro bianco, i perfetti lineamenti, avrebbe potuto volare e nessuno ne rimarrebbe stupito
I colori si cominciano a fondere, il viola acido delle banconote, l’argento di quei frammenti e la filigrana dell’ altezzoso lepidottero. Improvvisamente, sono scaraventata fuori il sacchetto si richiude, scompaiono banconote, collane e ciondoli. Una luce, non quella lì fastidiossa del neon, a cui quasi ci si abitua, ma quella dell’interno di una macchina, che si accende mentre si apre lo sportello, calda e rassicurante. Sono seduta, non capisco.
“Signorina, è arrivata a casa”