Occhi
Abituata a non vedere i particolari dei volti mi concentravo sulle immagini sfocate, cercando di definire chi fosse attorno a me. I bicchieri di vino non contavano, contavano le distanze fisiche. Due metri di distanza e tornavo nuovamente a riprendere il controllo della mia immaginazione che diveniva nuovamente realta’. Gli occhi fanno brutti scherzi qualche volta. Lasciano incompiuti i disegni dei volti, le linee tratteggiate senza cura, i nei possono scomparire, svanire chissa’ dove. I tratti caratteristici delle persone si mimetizzano con il colore della pelle che rende tutti umani, tutti un po’ simili tra di noi. Forse per questo ho sempre apprezzato e cercato quella lucentezza nello sguardo che prescinde dalla sfocatezza, qualcosa che buca d’improvviso, come la luce che improvvisamente si accende nel buio di un vicolo , che sia Pechino o Trastevere, e che non puo’ non incantare. Tutto questo e’ durato per molti anni, 3o anni circa.
Poi un giorno, tutto e’ cambiato. Sono rimasta allibita dai particolare, da come riusciamo ad essere caricaturali nel nostro piccolo, complici i nostri antenati che albergano nei nostri zigomi, sulla fronte, tra le sopracciglia folte, per non parlare dei piccoli nei che mi trovo ovunque sulle braccia e sulle gambe. Che vedo sui nasoni delle persone che mi sono sempre state vicino. Scopro per la prima volta, espressioni sottese che sono li’ che non vogliono bucare nulla nel buio, ma che da sempre esistono. Conscie della loro identita’. Adesso quindi mi perdo di nuovo in tutto questo magnetico mondo di delicati dettagli e robuste nervature. Mi concentro sempre sull’altro, non come facevo prima, nel tentativo di carpire, ma nella fascinazione che creano in me le mille espressioni che sottili non sono piu’.
Vedere bene, forse è come non vedere bene, se quello che riusciamo ad afferrare è sempre il troppo grande o il troppo piccolo.
Questioni di prospettive, rispose mia madre.