Semplificati e non semplificati

July 1st, 2011 by yilian

Crisi, pericolo e possibilità

July 1st, 2011 by yilian

危机 = Weiji = Crisi
危 = Wei = Pericolo
机 = Ji = Possibilità
da cui ne deriva
Possibilità + Pericolo = Crisi
Crisi - Pericolo = Possibilità
Crisi - Possibilità = Pericolo


 

 

 

il tale – chengguan

July 1st, 2011 by yilian

Non me lo ero mai trovata di fronte, ma ne avevo sentito parlare dai giornali, su internet e la gente per strada a volte lo nomina, chi abbassando lo sguardo in segno di sdegno e mortificazione e chi lo manda direttamente a quel paese. Il personaggio in questione è il Chengguan 城管.

Il Chengguan ha diritto e potere di controllare che le piccole attività del quartiere, quindi negozi, piccoli punti vendita, ambulanti, abbiamo i permessi e siano in regola. Il piccolo potere del Chengguan, viene sublimato dalla speranza di essere qualcuno, qualcuno che conta tra le vie di ogni distretto o crocicchio. Perchè può ordinare, dirigere e modificare il corso naturale, anarchico e caotico della vita quotidiana. Quindi non c’è mestiere più triste e fastidioso.

Esco di casa, fischietto, tra la pioggia che cade fina, un sollievo dall’afa che ristagna sotto il tetto grigio. La fruttivendola di fiducia è sempre aperta, una delle poche sicurezze di questo periodo, stabile nelle sue dodici ora al giorno di lavoro. Dopo pochi passi mi trovo tra melanzane, frutti esotici, meloni e angurie (mi hanno detto di non comprare gli Yangmei perchè hanno sempre i vermi, nelle due settimane precedenti ho mangiato solo Yangmei, cazzo). Saluto come ogni giorno, oggi ci sono la signora e la ragazza, che mi rispondono cordiali. Oltre me ci sono altre tre clienti. Scelgo il mio pasto quotidiano, verdure simili al broccolo di sapore ma non per la forma, ottime con la pasta. Mi metto in fila per aspettare che vengano pesate e pagare. Tutto ciò nel quotidiano torpore delle commercianti, andamento naturale dei noi clienti e nell’anarchico posizionamento delle cassette di frutta e verdura, tutto come al solito.

Spunta, però, un suono, gracchiante e fastidioso da un walkie talkie, una bicicletta e con la bicicletta un tale. Scruta il negozio e guarda all’interno, non scende dalla bicicletta, con fare sprezzante urla qualcosa alla signora. Io, assorta nei colori delle verdure, alzo la testa per capire chi è il nuovo arrivato, che rompe i coglioni. La fruttivendola, fa finta di nulla, il tale alza di nuovo la voce, urlando di spostare le cassette che intralciano, di mettere i cetrioli meglio, di fare attenzione ai pomodori che cadono. Nel negozio siamo tre clienti, c’è la fila e la signora era tutta impegnata nelle sue azioni quotidiane, mentre la raggazza lava e pulisce le verdure. La signora continua a pesare le vedure e il tale, non smette di urlare, bofonchiare, indicare, sprezzante, con sguardo misto a “io sono io” e ansia da prestazione.

Io so perfettamente quello che ha in testa la signora, perchè il pensiero tra noi cinque era lo stesso, comune, unico, che si sarebbe potuto chiaramente palpare. Tutte noi pensavamo:

1. Ma guarda questo che deficiente, non può parlare senza urlare?

2. (al secondo urlo del tale) Cazzo, è davvero un cretino!

3. (al terzo urlo del tale) O mio dio, odio puro!

4. (al quarto urlo del tale) Om-ma-ni-pad-me-hum (mantra in coro tra noi clienti, la fruttivendola e la ragazza)

5. (il tale va via) Gioia infinita!

情色 VS 色情

June 21st, 2011 by yilian

Erotica (情色) 和 Pornography (色情) 都是色情作品的意思。从内容上看,两者没有太大区别,都与性有关。

不同点

但后者Pornography (色情作品)含贬义,尤指那些被禁止的色情图片和作品,前者Erotica (情色作品)则逐渐被各国主流文化接受。后者简 单露骨,前者文雅含蓄,如果加点社会背景或政治佐料,前者还可成为艺术经典。在我国,情色被认为是一种艺术,而色情则显法律所禁止。提起情色片,人们首先会想到性爱画面,不少人因此误以为就是色情片。其实,情色片与色情片是不同的。从性爱场景的目的上讲,情色片是为了挖掘剧中人的心灵本源而借助的一种独特肢体语言,它有时传达着导演对社会的观点。性爱场面只在必要的时候起烘托作用,特写镜头不仅少之又少,而且大多以女性为主。例如《本能》中出现的性爱场面,就是剧情需要,因为莎朗·斯通所扮演的女作家要在男伴的高潮时刻实施她的杀人计划。情色片更注重对情感的刻画与氛围的营造。在1997年版的《洛丽塔》中,洛丽塔趴在花园草坪上读书,沐浴着明媚阳光,皮肤罩在朦胧的水雾下,她转眸间流露出的韵味,是情色片营造氛围的经典。电影《情人》则借电扇转速的快慢表现床戏的狂野与消退。《本能》中,莎朗·斯通坐着交替双腿的一幕,也因为强烈的诱惑内涵而显得余味悠长。

La biblioteca di Babele, mercie Mr Borges

June 20th, 2011 by yilian

L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato’, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d’una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria, identica alla prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due gabinetti minuscola. Uno permette di dormire in piedi; l’altro di soddisfare le necessità fecali. Di qui passa la scala spirale, che s’inabissa e s’innalza nel remoto. Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze. Gli uomini sogliono inferire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se realmente fosse tale, perché questa duplicazione illusoria?), io preferisco sognare che queste superfici argentate figurino e promettano l’infinito… La luce procede da frutti sferici che hanno il nome d lampade. Ve ne sono due per esagono, su una traversa. L luce che emettono è insufficiente, incessante. Come tutti gli uomini della Biblioteca, in gioventú io ho viaggiato; ho peregrinato in cerca di un libro, forse del catalogo dei cataloghi; ora che i miei occhi quasi non posso decifrare ciò che scrivo, mi preparo a morire a poche leghe dall’esagono in cui nacqui. Morto, non mancheranno pietose che mi gettino fuori della ringhiera; mia sepoltura sarà l’aria insondabile; il mio corpo affonderà lungamente e si corromperà e dissolverà nel vento generato dalla caduta, che è infinita. Io affermo che la Biblioteca è interminabile. Gli idealisti argomentano che le sale esagonali sono una forma necessaria dello spazio assoluto o’ per lo meno della nostra intuizione dello spazio. Ragionano che è inconcepibile una sala triangolare o pentagonale. (1 mistici tendono di avere, nell’estasi, la rivelazione d’una camera circolare con un gran libro circolare dalla costola continua che fa il giro completo delle pareti; ma la loro testimonianza è sospetta; le loro parole, oscure. Questo libro ciclico è Dio). Mi basti, per ora, ripetere la sentenza classica: ” La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile”. A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascuno scaffale contiene trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna riga, quaranta lettere di colore nero. Vi sono anche delle lettere sulla costola di ciascun libro; non, però, che indichino o prefigurino ciò che diranno le pagine. So che questa incoerenza, un tempo, parve misteriosa. Prima d’accennare soluzione (la cui scoperta, a prescindere dalle sue tragiche proiezioni, è forse il fatto capitale della storia) voglio rammentare alcuni assiomi. Primo: La Biblioteca esiste ab aeterno. Di questa verità, il cui corollario immediato è l’eternità futura del mondo, nessuna mente ragionevole puo’ dubitare. L’uomo, questo imperfetto bibliotecario, può essere opera del caso o di demiurghi malevoli; l’universo, con la sua elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di infaticabili scale per il viaggiatore e di latrine per il bibliotecario seduto, non può essere che l’opera di un dio. Per avvertire la distanza che c’è tra il divino e l’umano, basta paragonare questi rozzi, tremuli simboli che la mia fallibile mano sgorbia sulla copertina d’un libro, con le lettere organiche dell’interno: puntuali, delicate, nerissime, inimitabilmente simmetriche. Secondo: Il numero dei simboli ortografici è di venticinque. Questa constatazione permise, or sono tre secoli, di formulare una teoria generale della Biblioteca e di risolvere soddisfacentemente il problema che nessuna congettura aveva permesso di decifrare: la natura informe e caotica di quasi tutti i libri. Uno di questi, che mio padre vide in esagono del circuito quindici novantaquattro, constava le lettere M C V, perversamente ripetute dalla prima all’ultima riga. Un altro (molto consultato in questa zona) è mero labirinto di lettere, ma l’ultima pagina dice Ob tempo le tue piramidi. E’ ormai risaputo: per una riga ragionevole, per una notizia corretta, vi sono leghe di insensate cacofonie, di farragini verbali e di incoerenze. (So d’una regione barbarica i cui bibliotecari ripudiano la superstiziosa e vana abitudine di cercare un senso nei libri, e la paragonano a quella di cercare un senso nei sogni o nelle linee caotiche della mano… Ammettono che gli inventori della scrittura imitarono i venticinque simboli naturali, ma sostengono che questa applicazione è casuale, e che i libri non significano nulla di per sé. Questa affermazione, lo vedremo, non è del tutto erronea). Per molto tempo si credette che questi libri impenetrabili corrispondessero a lingue preterite o remote. 0ra è vero che gli uomini piú antichi, i primi bibliotecari, parlavano una lingua molto diversa da quella che noi parliamo oggi: è vero che poche miglia a destra la lingua è già dialettale, e novanta piani piú sopra è incomprensibile. Tutto questo, lo ripeto, è vero, ma quattrocentodieci pagine di inalterabili M C V non possono corrispondere ad alcun idioma, per dialettale o rudimentale che sia. Altri insinuarono che ogni lettera poteva influire sulla seguente, e che il valore di MCV nella terza riga della pagina 71 non era lo stesso di quello che la medesima serie poteva avere in altra riga di altra pagina; ma questa vaga tesi non prosperò. Altri pensarono ad una crittografia; quest’ipotesi è stata universalmente accettata, ma non nel senso in cui la formularono i suoi inventori. Cinquecento anni fa, il capo d’un esagono superiore trovò un libro tanto confuso come gli altri, ma in no quasi due pagine di scrittura omogenea, verosimilmente leggibile. Mostrò la sua scoperta a un decifratone ambulante, e questo gli disse che erano scritte in portoghese; altri dissero che erano scritte in yiddish. Poté infine dopo ricerche che durarono quasi un secolo, che si trattava d’un dialetto samoiedo-lituano del guaraní, con inflessioni di arabo classico. Si decifrò anche il contenuto; nozioni di analisi combinatoria, illustrate con esempi di permutazioni a ripetizione illimitata. Questi esempi permisero a un bibliotecario di genio di scoprire la legge fondamentale della Biblioteca. Questo pensatore osservò che tutti i libri, per diversi che fossero, constavano di elementi eguali: lo spazio il punto, la virgola, le ventidue lettere dell’alfabeto. Stabilí inoltre, un fatto che tutti i viaggiatori hanno confermato non vi sono, nella vasta Biblioteca, due soli libri identici. Da queste premesse incontrovertibili dedusse che la Biblioteca è totale, e che i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici (numero anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto ciò che è dato esprimere, in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell’avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fede della Biblioteca, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo autentico, l’evangelo gnostico di Basilide, il commento di questo evangelo, il commento del commento di questo evangelo, il resoconto veridico della tua morte, la traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri. Quando si proclamò che la Biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima impressione fu di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si sentirono padroni di un tesoro intatto e segreto. Non v’era problema personale o mondiale la cui eloquente soluzione non esistesse: in un qualche esagono. L’universo era giustificato, l’universo attingeva bruscamente le dimensioni illimitate della speranza. A quel tempo si parlò molto delle Vendicazioni: libri di apologia e di profezia che giustificavano per sempre gli atti di ciascun uomo dell’universo e serbavano arcani prodigiosi per il suo futuro. Migliaia di ambiziosi abbandonarono il dolce esagono natale e si lanciarono su per le scale, spinti dal vano proposito di trovare la propria Vendicazione. Questi pellegrini s’accapigliavano negli stretti corridoi, proferivano oscure minacce, si strangolavano per le scale divine, scagliavano i libri ingannevoli nei pozzi senza fondo, vi morivano essi stessi, precipitativi dagli uomini di regioni remote. Molti impazzirono… Le Vendicazioni esistono (io ne ho viste due, che si riferiscono a persone da venire, e forse non immaginarie), ma quei ricercatori dimenticavano che la possibilità che un uomo trovi la sua, o qualche perfida variante della sua, è sostanzialmente zero. Anche si sperò, a quel tempo, nella spiegazione dei misteri fondamentali dell’umanità: l’origine della Biblioteca e del tempo. È verosimile che di questi gravi misteri possa darsi una spiegazione in parole: se il linguaggio dei filosofi non basta, la multiforme Biblioteca avrà prodotto essa stessa l’inaudito idioma necessario, e i vocabolari e la grammatica di questa lingua. Già da quattro secoli gli uomini affaticano gli esagoni… Vi sono cercatori ufficiali, inquisitori. Li ho visti nell’esercizio della loro funzione: arrivano sempre scoraggiati; parlano di scale senza un gradino, dove per poco non s’ammazzarono; parlano di scale e di gallerie con il bibliotecario; ogni tanto, prendono il libro piú vicino e lo sfogliano, in cerca di parole infami. Nessuno, visibilmente, s’aspetta di trovare nulla. Alla speranza smodata, com’è naturale, successe una eccessiva depressione. La certezza che un qualche scaffale d’un qualche esagono celava libri preziosi e che questi libri preziosi erano inaccessibili, parve quasi intollerabile. Una setta blasfema suggerí che s’interrompessero le ricerche e che tutti gli uomini si dessero a mescolare lettere e simboli, fino a costruire, per un improbabile dono del caso, questi libri canonici. Le autorità si videro obbligate a promulgare ordinanze severe. La setta sparí, ma nella mia fanciullezza ho visto vecchi uomini che lungamente s’occultavano nelle latrine, con dischetti di metallo in un bossolo proibito, e debolmente rimediavano al divino disordine. Altri, per contro, credettero che l’importante fosse di sbarazzarsi delle opere inutili. Invadevano gli esagoni, esibivano credenziali non sempre false, sfogliavano stizzosamente un volume e condannavano scaffali interi: al loro furore igienico, ascetico, si deve l’insensata distruzione di milioni di libri. Il loro nome è esecrato, ma chi si dispera per i “tesori” che la frenesia di coloro distrusse, trascura due fatti evidenti. Primo: la Biblioteca è cosí enorme che ogni riduzione d’origine umana risulta infinitesima. Secondo: ogni esemplare è unico, insostituibile, ma (poiché la Biblioteca è totale) restano sempre varie centinaia di migliaia di facsimili imperfetti, cioè di opere che non differiscono che per una lettera o per una virgola. Contrariamente all’opinione generale, credo dunque che le conseguenze delle depredazioni commesse dai Purificatori siano state esagerate a causa dell’orrore che quei fanatici ispirarono. Li sospingeva l’idea delirante di conquistare i libri defl’Esagono Cremisi: libri di formato minore dei normali; onnipotenti, illustrati e magici. Sappiamo anche d’un’altra superstizione di quel tempo: quella dell’Uomo del Libro. In un certo scaffale d’un certo esagono (ragionarono gli uomini) deve esistere un libro che sia la chiave e il compendio perfetto di tutti gli altri: un bibliotecario l’ha letto, ed è simile a un dio. Nel linguaggio di questa zona si conservano tracce del culto di quel funzionario remoto. Molti peregrinarono in cerca di Lui, si spinsero invano nelle piú lontane gallerie. Come localizzare il venerando esagono segreto che l’ospitava? Qualcuno propose un metodo regressivo: per localizzare il libro A, consultare previamente il libro B; per localizzare il libro B, consultare previamente il libro C; e cosí all’infiníto… In avventure come queste ho prodigato e consumato i miei anni. Non mi sembra inverosimile che in un certo scaffale dell’universo esista un libro totale; prego gli dèi ignoti che un uomo – uno solo, e sia pure da migliaia d’anni! – l’abbia trovato e l’abbia letto. Se l’onore e la sapienza e la felícità non sono per me, che siano per altri. Che il cielo esista, anche se il mio posto è all’inferno. Ch’io sia oltraggiato e annientato, ma che per un istante, in un essere, la Tua enorme Biblioteca si giustifichi. Affermano gli empi che il nonsenso è normale nella Biblioteca, e che il ragionevole (come anche l’umile e semplice coerenza) è una quasi miracolosa eccezione. Parlano (lo so) della “Biblioteca febbrile’ i cui casuali volumi corrono il rischio incessante di mutarsi in altri, e tutto affermano, negano e confondono come una divinità in delirio”. Queste parole, che non solo denunciano il disordine, ma lo illustra. no, testimoniano generalmente del pessimo gusto e della di sperata ignoranza di chi le pronuncia. In realtà, la Biblioteca include tutte le strutture verbali, tutte le variazioni permesse dai venticinque simboli ortografici, ma non un solo nonsenso assoluto. Inutile osservarmi che il miglior volume dei molti esagoni che amministro s’intitola Tuono pettinato, un altro Il crampo di gesso e un altro Axaxaxas mló. Queste proposizioni, a prima vista incoerenti, sono indubbiamente suscettibili d’una giustificazione crittografica o allegorica; questa giustificazione è verbale, e però, ex bypothesi, già figura nella Biblioteca. Non posso immaginare alcuna combinazione di caratteri

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che la divina Biblioteca non abbia previsto, e che in alcuna delle sue lingue segrete non racchiuda un terribile significato. Nessuno può articolare una sillaba che non sia piena di tenerezze e di terrori; che non sia, in alcuno di quei linguaggi, il nome poderoso di un dio. Parlare è incorrere in tauto-logie. Questa epistola inutile e verbosa già esiste in uno dei trenta volumi dei cinque scaffali di uno degli innumerabili esagoni – e cosí pure la sua confutazione. (Un numero n di lingue possibili usa lo stesso vocabolario; in alcune, fl simbolo biblioteca ammette la definizione corretta di sistema duraturo e ubiquitario di gallerie esagonali, ma biblioteca sta qui per pane, o per piramide, o per qualsiasi altra cosa, e per altre cose stanno le sette parole che la definiscono. Tu che mi leggi, sei sicuro d’intendere la mia lingua?) Lo scrivere metodico mi distrae dalla presente condizione degli uomini, cui la certezza di ciò, che tutto sta scritto, annienta o istupidisce. So di distretti in cui i giovani si prosternano dinanzi ai libri e ne baciano con barbarie le pagine, ma non sanno decifrare una sola lettera. Le epidemie, le discordie eretiche, le peregrinazioni che inevitabilmente degenerano in banditismo, hanno decimato la popolazione. Credo di aver già accennato ai suicidi, ogni anno piú frequenti. M’inganneranno, forse, la vecchiezza e il timore, ma sospetto che la specie umana – l’unica – stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta. Aggiungo: infinita. Non introduco quest’aggettivo per un abitudine retorica; dico che non è illogico pensare che il mondo sia infinito. Chi lo giudica limitato, suppone che in qualche luogo remoto i corridoi e le scale e gli esagoni possano inconcepibilmente cessare; ciò che è assurdo. Chi lo immagina senza limiti, dimentica che è limitato il numero possibile dei libri. lo m’arrischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine.

 

“Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli”

June 12th, 2011 by yilian

Henri Cartier-Bresson

 

Han Shaogong, opinione…

June 11th, 2011 by yilian

 


Xia: Qual’è la tua opinione riguardo le critiche fatte da Liu Xiaobo nei confronti della scuola della Ricerca delle Radici? Sei d’accordo con lui?

Han: Noi siamo d’accordo sia con lo spirito ribelle e l’urgenza emotiva con cui Liu Xiaobo critica la tradizione feudale cinese, sia anche con alcune particolari idee. Tuttavia se la critica del feudalesimo orientale implica la negazione di tutta la cultura orientale, anche la critica del feudalesimo occidentale dovrebbe comportare la negazione di tutta la cultura occidentale. Se si critica l’oppressione della religione sugli uomini si dovrebbe forse cancellare tutta l’arte religiosa? E’ troppo semplicistico. Volgersi al passato alla ricerca di argomenti può sembrare una regressione spirituale, ma in reatà è ben altra cosa. L’arte del rinascimento europea si ispirava per lo più alla mitologia greca e romana, ma serebbe difficile definirla un movimento retrogrado. Inoltre, parlando di letteratura si possono usare parole come “evoluzione” e “regressione”? Se non si comprende che la visione utilitaristica e quella estetica sono due differenti criteri di valutazione e si pretende che la letteratura sia funzionale e utile, anche se facessimo uso di un utilitarismo estremamente moderno per unificare tutte le letterature, questo non sarebbe “moderno” in sè e sarebbe lontanissimo dai modelli del pensiero moderno pluralistico.

Un altro errore di Liu Xiaobo lo compie riguardo la filosofia: manca soprattutto di comprensione per la filosofia orientale. Dice che la cultura cinese è “fondata sulla ragione” e per questo deve essere completamente abbandonata, ma anche a non voler considerare i suoi esagerati pregiudizi nei confronti della ragione, resta il fatto che le sue critiche sono valide esclusivamente per i confuciani. La filosofia taoista e quella Zen sono da sempre fondate sull’irrazionale. La cultura tradizionale cinese era esteriormente confuciana ma nteriormente taoista e buddhista: Confucio e Mencio per governare, Buddhismo e Taoismo per coltivare lo spirito. I concetti di relatività, totalità e intuizione, propri della filosofia taoista e buddhista fanno ancor’oggi parte del tesoro del pensiero umano. I cinesi che li conoscono sono pochi, gli occidentali in grado di comprenderli ancora meno; solo grandi menti della cultura come Einstein, Leibniz, Bohr, Prigogine, Heidegger ed altri hanno ammirato. Ora noi dobbiamo studiare perchè mai questa saggezza sia diventata un vuoto ed inutile oppio dello spirito e nella Cina moderna e come mai il filoso Zhuangzi sia diventato lo Ah Q di Lu Xun. Quando avremmo risolto questo problema, questi aspetti negativi si tramuteranno in aspetti positivi. Penso quindi che non sia necessario punire Zhuangzi solo perchè la Cina ha prodotto un Ah Q, nè si debba provare un senso di inferiorità di fronte tutto e tutti.

Liu Xiaobo estende il leggittimo desiderio di modernizzazione politica e sociale fino a farlo diventare una richiesta di totale occidentalizzazione della cultura. Questa è un’ossesisone, una perniciosa infatuazione. Fino a che punto si può ammettere la sua affermazione “Tutta la cultura tradizionale cinese è feccia”, vuole forse che un miliardo di cinesi abbandonino la lingua cinese per una lingua occidentale? Dubito che siano queste le sue reali intenzioni; credo che egli si avvalga di tali esagerazioni solo per dare maggiore enfasi alla sua voce, non dobbiamo prenderlo quindi troppo sul serio.

Tratto da Ventitrè testimonianze autobiografiche, Scrittori in Cina a cura di Helmut Martin, Helen Xia intervista Han Shaogong, scrittore del primo periodo anni 80 il quale ricerca l’arte poetica all’interno di quelle che sono le radici della propria cultura, scavando fino alle proprie orgini.

 

Saggezza cinese

June 3rd, 2011 by yilian

是你的就是你的, 不是你的就不是你的

ciò che è tuo è tuo, ciò che non è tuo non è tuo



 

Metropia

May 29th, 2011 by yilian

Plot non originale – scure atmosfere intense – produzione svedese

Quasi, neon.

May 29th, 2011 by yilian

E’ da due mesi che le luci al neon mi infastidiscono, non entro nei ventiquattrore, supermercati, seveeleven  senza corrugare sopracciglia e fronte. Alla fine mi abituo, con amarezza ci si abiuta a quasi tutto. I bancomat notturni, ugualmente li tengo alla larga il più possibile, ma quella sera, nel portafoglio non avevo neanche una banconota, ed ero stanca, cercavo un taxi. Anzi prima cercavo dei soldi, mi sembra di ricordare. Entro, scontrosa nei confronti dell’algida luce metallica. Arriccio il naso e cammino a testa bassa, una persona accanto a me, la sua immagine si riflette nel lucido pavimento che non fa che aumentare la mia stizza nei confronti dell’artificio in senso lato, emotivamente e praticamente. Mi accosto alla macchina sputasoldi a sinistra, la persona di destra se ne va. Sono sola. Cerco il bancomat e mi accorgo che poggiata lì, accanto alla bocca della sputasoldi, c’è una curioso sacchetto, stretto da un laccio blu scuro. Piano piano sciolgo il nodo e la curiosità apre la strada alla fantasia. Dentro banconote tailandesi, quelle violacee dai tratti bluastri, con il re di turno occhialuto, le riconosco con un balzo indietro nel tempo di dodici anni. Sono tante e nuove. Il sacchetto stretto si allarga sempre di più, il tempo si perde in quello che c’è al suo interno e lascia che lo stupore infantile veda, quello che c’è davvero. Una lunga collana fatta di conchiglie piccole piccole, ninete a che vedere con il kitsch da bigiotteria di primo livello. Tutto era perfettamente calibrato e di una finezza magistrale, saranno state sicuramente piccole mani e comporla. Minuscoli frammenti attorno a quello che avrebbe dovuto essere il perno tubolare di cui non si individua più l’esistenza. La forma è ricreata nuovamente. Argento. Sembra che non possa finire: il sacchetto si apre gentilmente, lasciando entrare la mano. Il vuoto si riempie di un ciondolo, una farfalla dalle ali allungate, stizzose nella loro femminilità, dal colore stridulo e immateriale nella sua consistenza, come quei rari tesori che popolano le menti dei bambini. Lo prendo in mano delicatamente e osservo gli intrecci di oro bianco, i perfetti lineamenti, avrebbe potuto volare e nessuno ne rimarrebbe stupito

I colori si cominciano a fondere, il viola acido delle banconote, l’argento di quei frammenti e la filigrana dell’ altezzoso lepidottero. Improvvisamente, sono scaraventata fuori il sacchetto si richiude, scompaiono banconote, collane e ciondoli. Una luce, non quella lì fastidiossa del neon, a cui quasi ci si abitua, ma quella dell’interno di una macchina, che si accende mentre si apre lo sportello, calda e rassicurante. Sono seduta, non capisco.

“Signorina, è arrivata a casa”